Francesca Matteoni (1975) è poeta e scrittrice. Cura pubblicazioni illustrate su magia e tarocchi per l’editore White Star. Ha all’attivo pubblicazioni accademiche in italiano e inglese. Ha scritto il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019) e un testo sulle piante sacre nel volume La scommessa psichedelica (Quodlibet 2020) a cura di Federico Di Vita. Le sue ultime pubblicazioni sono il libro di poesia Ciò che il mondo separa (Marcos y Marcos, 2021); Io sarò il rovo. Fiabe di un paese silenzioso (effequ, 2021), il romanzo Tundra e Peive (nottetempo 2023) e la riedizione aggiornata di Appunti dal parco (Vydia, 2023). Collabora alle riviste online “L’indiscreto” e “Kobo”. Il suo ripostiglio si trova qui: http://orso-polare.blogspot.com/
Teroni
Francesca, leggo che tu curi laboratori di tarocchi intuitivi e mi sembra una cosa interessante, di cui non so nulla. Poi ho visto che ti sei occupata, per i tuoi studi in storia di stregoneria. Leggo nel tuo blog “Orso polare” che il bosco è il luogo ideale per la tua poesia. E dici che scrivere è una forma di magia. Allora io ho pensato a un gioco con te, ovvero ho fatto i Ching per trovare la domanda da farti. Tu conosci i Ching?
Matteoni
Sì. Meno dei tarocchi, ma sì.
Ho pensato di usare i Ching per decidere da quale domanda iniziare…
Va bene. Perfetto!
Allora… ho fatto la domanda ai Ching, diciamo così, ho chiesto: cosa chiedere a Francesca? È venuto fuori l’esagramma 51 “L’eccitante – lo scuotimento e il tuono” e poi la linea mutante che porta all’esagramma 54, che è “La ragazza che si sposa”. La figura “Lo scuotimento e il tuono” dice che c’è un momento, il tuono, in cui la natura si mostra nella sua potenza e ci lascia spaventati, però, nel momento del rituale, bisogna rimanere concentrati in quello che si fa. Ho legato intuitivamente questa cosa a quello che dici tu sulla poesia. Ovvero tu dici che il bosco è il luogo del contatto con la poesia.
In realtà non credo che la poesia appartenga esclusivamente al bosco. Ho frequentato a lungo i boschi per questioni biografiche, ma ho scritto anche molta poesia che forse si può definire urbana – uno dei miei luoghi d’elezione è Londra, dove ho abitato per molti anni e per quanto ci siano parchi in abbondanza non è proprio un luogo boschivo. Forse è il classico bosco della mente, quello in cui ci si addentra per la poesia, e non è detto che sia composto di alberi. Anche certi vicoli, certi grandi magazzini possono divenire boschi.
Come ti approcci alla scrittura della poesia? Hai un tuo metodo, se c’è un metodo, per scrivere?
Scrivo costantemente, ma non sempre poesia. La scrittura in prosa o saggistica ha lo stesso peso. Ora per esempio ho riscritto dei testi poetici dopo un anno e mezzo che non ne componevo.
Cioè è un anno e mezzo che non scrivi?
Le ultime poesie le avevo scritte a gennaio 2022. La pratica principale, che non viene mai meno, è la lettura della poesia.
Per la scrittura in prosa posso darmi delle scadenze e obbligarmi a rispettarle, la poesia è più capricciosa e richiede un’altra preparazione. A volte basta una semplice camminata nel quartiere o lungo il torrente, un modo per portarsi fisicamente altrove e lasciare spazio alla parola poetica. È uno spazio ritmico, in cui prestare attenzione a quanto arriverà e a come si scandirà.
È più importante l’aspetto musicale, fonetico?
Direi ritmico. Molte mie poesie sono dissonanti, non necessariamente sono musicali. La poesia rompe il discorso comune. Penso che sia molto più facile assimilare la poesia all’arte visiva o al rumore che non alla prosa. Ci sono ovviamente prose che si scandiscono come la poesia: ciò che intendo è che la poesia viene comunque prima, è l’ascolto delle parole che precede il significato.
Dici che ci può essere un tipo di narrazione, diciamo così, poetica?
Sì certo. Uno degli esempi più alti è Le onde di Virginia Woolf. Virginia Woolf non ha mai scritto poesia, eppure è difficile definire The Waves un’opera di prosa.
Le voci sovrastano le trame. In maniera rozza si potrebbe dire che la poesia evoca dei mondi, la prosa, in qualche maniera, li spiega e li mostra. Questo non impedisce che ci sia contaminazione e anzi molti bei libri di oggi, sia in prosa sia in poesia, lo dimostrano.
Beh, in qualche modo, I Ching avevano ragione. L’esagramma dice che, quando uno si concentra in una sorta di rituale (e mettiamo che la poesia sia una sorta di rituale, cioè come capacità di ascolto) devi stare sul pezzo; devi essere concentrato in quello che fai lasciando andare la parte più razionale, concedimi.
Credo che la poesia sia una tecnica spirituale, ma non perché intrisa di discorso religioso. In Italia, dove c’è molta ignoranza su che cosa significa spiritualità e anche molto snobismo (molto stupido, fra l’altro) si tende a confondere i due piani.
Ma la spiritualità non significa credere nella resurrezione dei corpi, se vogliamo stare nel paradigma cristiano, o credere in altre vite, in divinità o in rivelazioni mistiche in cima a un albero. È più simile al processo psichedelico di dissoluzione dell’ego: sapere che possiamo arrenderci ad altro che supera e annichilisce la volontà.
Senza grandi sorprese si può scoprire che questo altro è la materia di un mondo vivente o morente che sia, vasto e impenetrabile nelle sue intelligenze.
Oggi il nostro mondo è dominato dai social media: Instagram, Facebook eccetera. Secondo te, tutto questo che effetto sul nostro rapporto, con la parte, diciamo, più poetica di noi. Si fa poesia sui social-media, però è una poesia molto lontana, mi pare, da quanto dicevi.
Non rifuggo la tecnologia. La uso. Uso Instagram, uso i social; magari non
li uso tutti; alcuni non li so usare, sono impreparata. Sono aperta alle possibilità e curiosa di come altri le sviluppano, per esempio con l’impiego dell’Intelligenza artificiale.
Non la temi?
Non particolarmente. Mi interessa capire che cosa accadrà. Seguo il lavoro di Francesco D’Isa che su questo è esperto e capace di spiegarsi bene: l’intelligenza artificiale può divenire un modo per lasciare qualcosa al caso, è uno strumento umano che tuttavia, se ben impiegato, può aprire a ciò che non si vede, a risultati imprevedibili, per esempio nelle arti. Ho paura delle posizioni monolitiche. E temo moltissimo la divisione fra saperi scientifici e saperi tecnici, che vede i secondi prevalere sui primi, privandoli di pensiero e di approcci interdisciplinari.
Tendenzialmente rifuggo tutte le crociate contro qualcosa e qualcuno, perché spesso sono delle pezze che cerchiamo di mettere su un fiume in piena, senza affrontare davvero il problema alla base, ovvero la questione educativa. Tornando alle IA, questa ha il potere di aprire varchi o mondi oltre ciò che percepiamo reale. Penso al libro Exit reality di Valentina Tanni, opera di soglie e in questo piena di poesia.
Tutto è strumento, basta non avere pregiudizi e restare curiosi, aperti, senza la soluzione, che non abbiamo comunque, in tasca.
Però la grande differenza, rispetto a quanto si diceva all’inizio, cioè la capacità di sentire, di essere in contatto, è proprio il fatto che l’intelligenza artificiale e i social ci tolgono quella capacità, perché si impongono. Loro ci teleguidano, in qualche modo.
Ogni strumento prevede un uso responsabile e sempre il desiderio di esplorare o studiare. I social hanno trasformato tutti, improvvisamente, in artisti, educatori, terapisti di qualsiasi genere. Sono d’accordo che l’esperienza non si esaurisca con i titoli di studio, ma da qualche parte bisogna formarsi e dubito che questo avvenga tramite Instagram. È la vecchia questione della fatica, della lentezza che dovremmo recuperare, ma non la trovo in antitesi con il lavoro con le IA che comunque non sono un mondo che pratico. Osservo e a volte resto ammirata da chi riesce a farlo.
Sì, sono dei vantaggi, chiaramente.
E se i social sono una restituzione di un’esperienza, perché no? Ci sono movimenti, pensiamo ai vari movimenti ecologici nati e portati avanti dai più giovani come Fridays For Future nel mondo o Just Stop Oil in Inghilterra, che vivono grazie ai social. Questo dovrebbe sempre accompagnarsi all’atto non dell’informarsi, ma dello studiare, del leggere e sapere cosa e come leggere, perché leggere in sé non è un’azione con un peso culturale maggiore rispetto ad altre. In Italia si legge poco e si legge male, purtroppo. Qui sarebbero fondamentali la scuola, le famiglie e anche le librerie: cosa decidono di esporre in vetrina, quanto sono preparati i librai e via dicendo. Poi bisogna anche un po’ avere fiducia nelle nuove generazioni.
Donna Avvoltoio
Sull’altopiano i morti
vengono sepolti in cielo
le carcasse lasciate ai rapaci
che penetrano
frantumando l’io.
La Donna Avvoltoio
si impelliccia di piume
scende dalla tempesta
volteggiando verso me stessa.
È qui per distruggere, consumare,
pulire. Non è di queste terre.
Donna Avvoltoio che rompe
vecchie uova preistoriche.
Scintillo come un pulcino
nelle membrane
nel corpomondo del tempo.
Tutte le vite irrompono pure.
La Donna Avvoltoio si alza
e scompare.
(da Appunti dal parco, 2023)