Montaigne: l’arte del conoscersi

Michel de Montaigne (1533-1592) si è dedicato con tutte le proprie forze intellettuali (che non erano scarse) allo scopo che riteneva fondamentale per l’uomo: capire sé stesso.
La cosa può sembrare paradossale, dato che, bene o male, tutti noi riteniamo di conoscerci. Ma non è così. Non è così, almeno, per come la pensava Montaigne e, prima di lui, Socrate (il filosofo da lui più amato).

A 38 anni, la svolta

A un certo punto della vita (38 anni) Montaigne realizza che è giunto al termine (si sbagliava) e decide di dedicarsi completamente allo studio. Si chiude in una torretta del proprio favoloso palazzo signorile, facendola adibire in modo da avere tutti i propri libri a disposizione e in modo da non poter essere disturbato. Va precisato che aveva moglie e figli, oltre che numerosi e vasti terreni da amministrare e diversi impegni politici. Ma decide che tutto questo non fa per lui: il matrimonio è fondamentalmente noia, così i figli (addirittura confessa di non ricordare quanti gliene sono morti); riguardo le proprie terre, si considera un padrone inetto, non sa neppure quali ortaggi sono seminati nei terreni più vicini. Non ha la minima idea di tecniche agricole o di gestione amministrativa. Non ha idea e non intende averne. Riguardo la politica, non pensa di avere la stoffa. Vuole uscire dal mondo; vuole ritirarsi dagli impicci della vita, vuole allontanare da sé i guai della politica (siamo in piena guerra tra cattolici e protestanti) e dedicarsi solo ai libri. E così fa per 10 anni.

Poi, intorno ai 48 anni, appunto, si rende conto di avere un po’ esagerato.
Ma in quei 10 anni (che potremmo definire di “ossessione bibliofila”) scrive due terzi dell’opera per cui ancora oggi il suo nome è noto: Saggi, un bestione di circa 1000 pagine, opera fondamentale della cultura occidentale. Testo che potremmo definire un’operazione intellettuale mirata a scavare nell’animo umano e capirne i segreti meccanismi, le paure, i limiti, le possibilità, in una continua analisi di sé stesso; giacché Montaigne, scavando in sé stesso, scava nell’essere umano. Tutto questo non avviene però da subito. Egli infatti parte da un semplice progetto di studio, e studia soprattutto i classici greci e latini. Non ha inizialmente ambizioni creative. Studia, segna, appunta note in margine e ragiona su quanto a letto. Ma intanto scrive. E scrive così tanto da formare un libro corposo e profondissimo. Quindi lo fa stampare in due volumi.

A 48 anni, il risveglio

All’età di 48 anni, dicevamo, decide che è giunto il momento di uscire dal guscio in cui si è ritirato e decide di fare un viaggio. Vuole conoscere il mondo; vuole vedere altri modi di vivere, di pensare, di comportarsi, di parlare. È spinto da una forte curiosità e da una tolleranza illimitata. Non ritiene nulla in sé sbagliato, poiché naturale (da notare che vive in un’epoca di severissima austerità). Si muove, con una discreto seguito, prima in Francia, poi per tutta l’Italia. Il suo viaggio dura circa un anno e mezzo. Va anche a Roma e incontra il papa. Si confronta con diversi colti cardinali, che gli offrono suggerimenti per il suo libro (tra l’altro, gli consigliano di sostituire la parola “fortuna” con la parola “Dio”).
Intano i Saggi hanno cominciato a diffondersi per le corti e sono apprezzati, tanto che (visto la sua posizione di pregio e la sua fama intellettuale) lo nominano sindaco di Bordeaux (“a sua insaputa”… non è uno scherzo… cito).

Trappole politiche

Rientra quindi a Bordeaux e si ritrova sindaco. Non è convinto di accettare l’incarico. Sa bene che la politica è complicata e pericolosa. Sa bene che rischia di dover rinunciare a gran parte di tempo per lo studio. Ma il re gli scrive. Gli scrive con parole di cortesia, ma il messaggio è chiaro: devi accettare.
Essere sindaco di Bordeaux in quella fase storica non era una passeggiata. Lo scontro tra cattolici e ugonotti era all’ordine del giorno. Qualsiasi posizione presa, significava farsi dei nemici. Eppure egli affronta i propri doveri con estremo equilibrio e intelligenza, ma intanto la sua salute è debole: soffre di forti dolori biliari, tanto da prendere in considerazione più volte il suicidio.

In fuga dalla peste

Alla complessa situazione politica, ai dolori biliari, si aggiunge la peste, che cade su tutti come un macigno. Invade anche il palazzo Montaigne, ed egli si trova costretto a fare rapidamente i bagagli, raggruppare la famiglia (una moglie, una figlia, una vecchia madre) e fuggire. Si allontana per circa sei mesi, e in questo viaggio di salvezza vede intorno a sé lo sterminio nei campi: case abbandonate, malati che vagano, cadaveri insepolti.
Solo quando la pandemia allenta il morso e la situazione si ristabilisce, può rientrare. Ma le faccende politiche sono ancora lì che attendono. Enrico di Navarra (che è ugonotto, ovvero protestante, e che diventerà re Enrico IV) gli fa visita per chiedergli consiglio. Il dubbio è: prendere il regno con la forza o no? Montaigne si dimostra un ottimo diplomatico. E la questione si risolverà con la conversione forzata di Enrico di Navarra al cattolicesimo (con la famosa frase “Parigi val bene una messa”).

Conclusione dei Saggi

Diventato re, Enrico IV propone a Montaigne un importante incarico di corte. Ma questa volta, a denti stretti, rifiuta. Rifiutare un alto dono da un re non è cosa semplice. Si sa come vanno certe cose: la gratitudine scarseggia…
Ma ormai Montaigne è abbastanza vecchio e noto da potersi permettere un rifiuto. Gli ultimi anni li dedica a scrivere la terza parte dei Saggi.
Anzi, ormai alle soglie della vecchia, la vita gli fa un ultimo dolce dono: una giovane donna di eminente famiglia, Mademoiselle de Gournay, legge il suo libro e se ne innamora. Poi conosce lui e nasce tra i due una profonda relazione.
A questo punto può finalmente riposarsi e dedicarsi all’ultima avventura: quella estrema, la più misteriosa. Muore serenamente in casa propria, nel proprio letto, forse sereno, all’età di 59 anni.

Per approfondire: Stefan Zweig Montaigne

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