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Il pensatore che ha coniato il concetto di “volontà di potenza”, il filosofo dell’oltre-uomo, del superamento di tutti i valori, colui che ha scritto di una morale “al di là del bene e del male”, quell’uomo, Friedrich Nietzsche un giorno, era il 3 gennaio 1889 e si trovava a Torino, andò ad abbracciare un cavallo frustato e preso a calci dal cocchiere.
L’aneddoto è forse leggendario ma di certo, quell’anno, la mente di Nietzsche era crollata. Da qualche mese spediva lettere completamente folli (i cosiddetti “biglietti della pazzia”) a vari conoscenti, principi regnanti, politici. Una lettera del 6 gennaio 1889 era indirizzata a Jacob Burckhardt, il quale, realizzando la situazione grave, informò l’amico Franz Overbeck. Overbeck si recò a Torino, dove recuperò un Nietzsche allo sbando e lo accompagnò a Basilea, dove venne ricoverato in una clinica per malattie mentali. Morirà 11 anni dopo, sostanzialmente tutti passati sotto cura.
Docente di filologia classica
Una decina d’anni prima dell’implosione della sua salute psichica, nel 1878, Nietzsche si era dimesso dall’università di Basilea, dove occupava la cattedra in filologia classica. Aveva ricevuto il contratto nel 1869, a 23 anni; per qualche anno aveva insegnato, scritto, partecipato a conferenze, sebbene con frequenti congedi (causa una salute instabile); 34 anni ed era praticamente già in pensione. Da questo anno in avanti, la sua vita diventò un lungo pellegrinaggio. Iniziò a viaggiare per l’Europa, spesso in Italia: Riva del Garda, Venezia, Genova, Roma. A Roma gli venne presentata Lou von Salomé, quella che potremmo definire la femme fatale della sua vita. Gliel’aveva presentata Paul Rée e tra i tre nascerà una intensa, strana amicizia: un mix di cultura e erotismo, sebbene la parte erotica spettasse solo a Rée. Nietzsche era tremendamente timido e goffo nei rapporti con le donne. Propose a Lou due volte di sposarlo, entrambe respinte. Tra l’altro, il rapporto con la sensuale Lou gli provocherà dissidi con madre e sorella (che forse cercavano di proteggerlo). Dopo tali delusioni, iniziò il suo periodo più fosco di solitudine.
Un particolare fiuto
In effetti, se si pensa che c’era (e c’è) gente sfruttata come schiava, la vita di Nietzsche (un giovane pensionato che gira il mondo e scrive) sembra invidiabile. Il problema è che non stava per niente bene. Più rimaneva solo, più si allontanava dagli altri e più gli altri si allontanavano da lui.
I suoi libri erano letti da pochissimi e pochissimo apprezzati. Quelli che erano gli stessi suoi amici, negli ultimi anni, lo evitano; l’amicizia con Richard Wagner (che rappresentò forse l’apice del trionfo sociale per Nietzsche) era finita in malo modo, con un freddo distacco tra i due. Nietzsche non era certo un uomo capace di compromessi; era sì timido, ma non incline a farsi schiacciare. Per cui perseguì, con ostinazione, la via dello scrivere come unica fonte di dialogo. Ma si trattava di un dialogo isolato, avvitato in sé stesso e nello scavo tra i propri pensieri vertiginosi. In Ecce homo, definisce la propria filosofia un pensiero dei ghiacci, dove è difficile respirare e la solitudine è immensa. L’animo di Nietzsche era d’altronde caratterizzato da una particolare sensibilità (quello che egli definisce “fiuto”; la sua sensibilità, dice, gli derivava da una particolare capacità olfattiva) che gli fa immediatamente intuire chi ha davanti. Quindi guarda alla realtà, agli altri, al mondo, come se tutto fosse denudato da incanti.
Un giovane vecchio
Se si guarda alla vita di Nietzsche, si nota una certa precocità: poco più che ventenne è cattedratico universitario e frequenta dei dotti sessantenni (mentre i suoi coetanei si sbronzano e vanno a puttane); poco più che trentenne è pensionato. Intorno ai quaranta, viaggia solo, fa lunghe camminate da solo per i monti. È pieno di acciacchi: soffre di insonnia e deve prendere il cloralio (un sedativo chimico) per dormire; ha crampi allo stomaco, stitichezza, vomito e deve mangiare esclusivamente piatti leggeri. Non ha lussi: niente tabacco, niente donne, né amici né lettori né qualcuno che apprezzi i suoi scritti (stampa, a proprie spese, 40 copie di Così parlò Zarathustra e trova solo 7 persone a cui mandare una copia. Poco dopo la sua morte, diventerà una sorta di best-seller). La gente lo evita e lui è diventato ormai incapace di frequentare gente. Lo circonda l’indifferenza.
Solo la musica lo consola, e scrivere, naturalmente. Ma ci vede malissimo, è quasi cieco. Per cui dobbiamo immaginarcelo in alberghi di media categoria, vestito in modo elegante ma sobrio, che vaga, perennemente solo, privo di qualsiasi consolazione, se non i propri vertiginosi pensieri; circondato dai propri scritti, che a malapena è in grado di rileggere.
Fine corsa
Ma qui lo scatto eroico. Nietzsche, dicevamo, è un giovane vecchio, ma la sua anima è incredibilmente coraggiosa. Nonostante si trovi a un passo dall’abisso mentale, compie psicologicamente un balzo inaspettato. Rovescia il tavolo e reagisce alla sofferenza. Lo fa però in strano modo: affronta la sofferenza a viso aperto. Non tenta di evitarla, ma la chiama a sé e la battezza come necessaria. Giunge alla consapevolezza che è il dolore a scolpire l’anima (la psiche) più profonda. Da qui il concetto dell’oltre-uomo, ovvero di colui che è capace di fissare il proprio abisso senza rimanerne annichilito. Non si tratta di un eroismo alla D’Annunzio o da razza ariana o di colui che si crede superiore alla massa per diritto divino. La superiorità rispetto all’uomo mediocre consiste nell’essere in grado di fissare la propria sofferenza come una sorta di privilegio: il solo modo per poter guardare a fondo in sé stessi.
Nietzsche finì, dicevamo, in cura, in un ospedale psichiatrico, poi a casa, gestito dalla sorella (forse fu lei, almeno in parte, la responsabile di una interpretazione filo-nazista delle opere del fratello). Gli ultimi anni, la mente di Nietzsche era ormai altrove.
C’è però una sua frase che lascia sbigottiti: “Mi si comprenderà” scrisse “dopo la prossima guerra europea”.
Morì il 25 agosto 1900.
Per approfondire: Steven Zweig Il demone di Nietzsche