Eraclito (vissuto tra il V e il VI secolo avanti Cristo) è uno dei massimi filosofi di tutti i tempi e tra tutti decisamente il più criptico, nonostante il nucleo della sua filosofia possa riassumersi in una nota sentenza: πάντα ρει (panta rei), tutto scorre.
È il filosofo che ha definito in un due parole il concetto essenziale dell’esistenza, secondo cui ogni cosa è in continuo movimento e la trasformazione perenne è il cardine intorno a cui si delinea la vita. Direi che niente di più chiaro e definitivo si possa dire. Mentre tutti gli altri filosofi antichi cercavano la risposta fondante (chi nell’acqua, chi nel fuoco, chi nel concatenarsi degli elementi) Eraclito vede la risposta nel “fluire”. Di lui ci sono rimasti pochissimi scritti, per lo più frammenti, delle specie di versi enigmatici. Eccone uno:
Tabella dei contenuti
Enigmatiche parole
conflitto
giova saperlo
è cosa comune
giustizia è contrasto
ha nascimento
tutto
da contrasto
da necessità
Cosa dicono di lui altri filosofi
Pare che li scrivesse in lamine d’oro. Di lui, Socrate disse che era il palombaro del senso. Timone lo definisce l’oscuro. Nietzsche il più affine a sé, “il carattere decisivo della filosofia dionisiaca”.
A quanto ci racconta Diogene, Eraclito era un misantropo dal carattere altero.
uomo purissimo
uomo rarissimo
Un misantropo
Disprezzava gli uomini. Doveva avere uno di quei caratteri alla Pound o alla Celine, persone che vedono nell’umanità, sostanzialmente, il peggio, che non si fanno illusioni sui propri simili. Saggiamente, distingueva l’erudizione dall’intelligenza: le due cose non sempre, se non raramente, vanno d’accordo.
Credendo poco nell’umanità e nella società, quando gli chiesero di partecipare alla redazione delle leggi, preferì andare a giocare agli astragali con dei ragazzini.
Non cercava potere o gloria. Quando il re Dario di Persia gli propose, con una lunga lettera elogiativa, di diventare ospite presso la sua corte, dove avrebbe potuto vivere dignitosamente e con grandi privilegi, frequentando i massimi sapienti, egli rispose con una cortese lettera che si accontentava del poco che aveva e non chiedeva di meglio.
Via da tutto
Finì per vivere isolato sui monti, mangiando erbe, ma tale dieta gli fu letale. Si ammalò; tornò in città dove tentò di curarsi da sé, dato che diffidava dei medici. Siccome soffriva di idropisia (ovvero un eccesso di liquidi negli organi interni) cercò di purificarsi cospargendosi di sterco bovino. La cosa non funzionò: morì, intorno ai sessant’anni, di tormenti.
Secondo un’altra versione, già malato e in fin di vita, coperto di sterco, fu sbranato dai cani.
Fine corsa
C’è però una terza versione della sua morte che fonde le due precedenti ed è forse la più vicina alla verità (anche se, va detto, parliamo di migliaia di anni fa, per cui è tutto decisamente ipotetico).
Estremamente malato, tentò una cura, diciamo, naturale: fece scavare da due discepoli una buca lunga due metri e profonda cinquanta centimetri. All’interno fu sparsa della paglia. Quindi Eraclito si distese nella fossa e si fece ricoprire di terra e sabbia, lasciando solamente la testa all’esterno. La terra che lo copriva fu coperta di sterco di capra. A lavoro concluso, i due discepoli si allontanarono.
Questa tecnica di sabbiatura del corpo avrebbe dovuto lenire i suoi dolori. Così Eraclito si addormentò. E si si risvegliò che era già buio. I due discepoli non c’erano. Al posto loro c’erano due cani randagi… che lo sbranarono.
Per approfondire: Diogene Laerzio Vita dei filosofi – Matteo Saudino La filosofia non è una barba