Nerone: l’arte di uccidere

Secondo Svetonio, in Nerone si concentravano tutti i vizi dei suoi avi.
Appena concepito, eliminò il padre, il quale morì esattamente nove mesi prima della sua nascita.

La morte di Claudio

Si dice che quando era neonato, Messalina, moglie dell’imperatore Claudio (suo predecessore), prevedendo in lui un rivale, assoldò due sicari per strangolarlo, ma questi fuggirono spaventati da serpenti avviluppati alla sua culla.
Il destino sembrava giocare sempre a suo favore: la madre, Agrippina, sposò poi Claudio imperatore e lo convinse a scegliere il proprio figlio come erede al trono. Claudio morì e Nerone divenne imperatore a 17 anni. È probabile che Claudio sia morto con la complicità del figlio adottivo e lo zampino della moglie.

Amato dalla plebe

Una volta al potere, attuò una politica che lo rendeva amabile: abbassò le tasse, distribuì soldi ai poveri, aumentò la paga dei soldati, istituì un lauto stipendio per i senatori. Si mostrò inizialmente amabilissimo e sensibile. Il solo firmare una condanna a morte lo imbarazzava; durante uno spettacolo di gladiatori vietò che fossero uccisi gli sconfitti.

Vezzi artistici

La sua intima aspirazione era in realtà, non tanto politica, quanto artistica, e teneva molto ad essere apprezzato. Spesso si esibiva in canti o recite e aveva ingaggiato centinaia di ragazzini insegnando loro i vari tipi di applausi. Quando cantava era proibito alzarsi e tanto meno andarsene. Si racconta che alcune donne furono costrette a partorire durante i suoi spettacoli e di gente che si fingeva svenuta per potersela svignare.
Assistere ai suoi spettacoli non era solo noioso, ma rischioso: non apprezzare le sue qualità artistiche significava farselo nemico. E averlo come nemico era altamente sconsigliabile.

Vita dissoluta

Va detto inoltre che, da buon artista, adorava spassarsela. Di notte si aggirava per i peggiori luoghi della città, in forma anonima, ubriacandosi e partecipando a risse. Una notte rischiò addirittura di perdere un occhio. Era, come dire, un ricco giovincello viziato.

Perversioni

Col passare degli anni divenne sempre più irregolare: se la faceva con donne sposate e organizzava orge, in cui godeva in ogni modo immaginabile; poi le perversioni si fecero sempre più bizzarre (anche il kamasutra ha d’altronde i suoi limiti): fece evirare un ragazzo e lo costrinse a vestirsi da donna; ammise pubblicamente che avrebbe gradito farsi sua madre, ma i più saggi glielo sconsigliarono. Allora si accontentò di una prostituta che le assomigliava.
A volte basta poco… ma, si sa come vanno certe cose, uno gode, si annoia di godere e cerca nuovi modi.

Ammazzare la mamma!

Così passò alla ferocia: fece fuori gran parte di chi gli era intimo. Innanzitutto il fratellastro Britannico, che era un possibile rivale, poi la madre Agrippina, la quale era troppo potente, lo osteggiava, lo ostacolava.
Non la ammazzò però subito. Prima, garbatamente, la invitò a farsi da parte; ma lei non voleva saperne di farsi da parte. Allora le tolse ogni potere, poi, temendo una sua vendetta, tentò per tre volte di farla avvelenare, ma lei se la cavò riempiendosi di antidoti.
Maledetta strega: non voleva proprio crepare! Pensò quindi di ammazzarla facendole cadere il soffitto addosso mentre dormiva. Era tuttavia un sistema troppo complicato. Più fantasia, ragazzo… sforzati un po’!
Allora fece costruire una nave che doveva sfasciarsi durante il viaggio. Finse di far pace con lei e la invitò a fare un viaggio su quella nave. La nave si sfasciò con Agrippina dentro e molti morirono e pochi si salvarono, tra cui lei, che riuscì a raggiungere la riva a nuoto. Allora si ruppe di tutti questi tentativi arzigogolati e la fece semplicemente accoltellare. A volte, bisogna essere semplicemente semplici. La accusò di tentativo di assassinio all’imperatore, e la fece accoltellare, facendo passare il tutto come un suicidio. Si dice anche che palpeggiò impudicamente il suo cadavere.

Far fuori le mogli

Ebbe tre mogli: Ottavia, Poppea, Stabilia… tutte ammazzate per noia.
Costrinse Seneca, suo consigliere e maestro da quando era bambino, a suicidarsi.
Ma quando il suo favore presso il popolo iniziò a tramontare e cominciò a capire che aveva molti contro e che l’ombra del complotto si infittiva intorno a lui, allora iniziò a essere paranoico, a sospettare di chiunque. Anche i sogni lo insidiavano: i morti da lui fatti ammazzare ritornavano nelle sue notti, insieme a strane figure inquietanti, come il suo cavallo d’Asturia, tanto amato, gli appariva con il posteriore in forma di scimmia. Mentre pranzava gli fu consegnata una lettera in cui si annunciava una rivolta di tutte le armate, e non era un sogno. Allora rovesciò la tavola e si fece preparare un veleno, che custodì in una cassetta d’oro.

Fuga

Organizzò, insieme ai liberti rimastigli fedeli, un viaggio a Ostia, dove allestire una flotta per la fuga, e chiese aiuto ad alcuni tribuni e centurioni, ma nessuno era ormai disposto ad appoggiarlo. Era ormai solo. Prese in considerazione la possibilità di presentarsi in pubblico vestito di nero, sperando nel perdono, e magari in una prefettura in Egitto, ma si rendeva conto che non avrebbe avuto neppure il tempo di arrivare in senato… lo avrebbero fatto a pezzi prima. Supplicò ospitalità in luoghi nascosti, ma niente: ormai tutti gli avevano girato le spalle. Anche le sue guardie private erano sparite, e si erano portati via tutto, pure la cassetta d’oro con il veleno.

Ultimi istanti

Il liberto Faone, uno dei pochi ormai vicini, gli consigliò di nascondersi nella casa in periferia, a circa 4 miglia da Roma. Coperto di un mantello e con il volto mascherato da un fazzoletto, partì a cavallo. Con lui solo quattro uomini.
Riuscirono a raggiungere quella casa. L’ultimo tratto dovettero farlo a piedi, camminando tra cespugli e rovi. Nerone era distrutto, affamato, assetato. E soprattutto spaventato. Guardando attorno a sé quella miseria, continuava a ripetere frasi tipo “Così muore un artista!”

Fine corsa

Qui gli venne data notizia che il senato lo aveva dichiarato nemico pubblico e che gli spettava la condanna secondo le antiche usanze. “Qual è l’antica usanza?” chiese. L’antica usanza prevedeva che il condannato fosse denudato, legato a una forca per la testa e bastonato a morte. Sapeva che la scelta meno dolorosa e più onorevole che gli restava era ammazzarsi, ma non aveva il coraggio. Con la lama in pugno, incapace di farlo, si autocommiserava, si dava del buono a nulla. Chiese a qualcuno dei presenti di dargli esempio di coraggio, di mostrargli come ci si suicida. Era in totale delirio! Quando sentì il rumore dei cavalli avvicinarsi, capì che non gli rimaneva altro che una manciata d istanti. “Il galoppo dei cavalli dai piedi rapidi ferisce i miei orecchi” mormorò. Recitava sé stesso anche a un passo dalla morte. Poi lo fece. Con l’aiuto del suo segretario Epafrodito, si affondò la lama nel collo.
I pretoriani sopraggiunsero che respirava ancora. Dicono che il suo volto avesse una fissità spaventosa, quando era ormai dall’altra parte.

Precisazioni

Va precisate che quanto scritto si basa sostanzialmente sulla fonte di Svetonio, ovvero di un senatore, ovvero di un nemico di Nerone. Le fonti che abbiamo su Nerone sono per lo più da rivedere e, soprattutto, da considerare come documenti di avversari politici.

Per approfondire: Svetonio Vita dei Cesari

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