Bukowski

Charles Bukowski, poeta, scrittore scomodo; tanto scomodo quanto amato; personaggio contraddittorio ma decisamente unico.

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Forse è inutile tentare di dire qualcosa su Charles Bukowski (1920-1994), dato che egli di sé ha messo a nudo tutto. Basta leggere i suoi libri (come Post Office o Donne o alcuni racconti) per trovare dettagli della sua vita, anche i più intimi. Vi dice quanto ha bevuto, quanto ha sofferto, con quante e con chi ha scopato, e in che posizioni, e anche quanto ce l’ha grosso. Insomma, Bukowski è estremamente, minuziosamente autobiografico, tanto che non si capisce dove collocare il confine tra lo scrittore e il personaggio.

Un clamoroso successo

L’affermazione di Bukowski come scrittore arrivò piuttosto tardi, quando aveva circa 50 anni. Fu un’impennata sempre più crescente di successo. Intorno alla fine degli anni Novanta, nelle librerie i suoi testi erano tenuti vicino alla cassa, perché andavano a ruba, sia metaforicamente sia letteralmente. Nelle biblioteche era l’autore nettamente più richiesto, superando con alto margine gli autori in seconda posizione (Kerouac e Burroughs) i quali staccavano di lungo quelli dietro di loro. La letteratura ufficiale lo ha sempre guardato con occhio sospetto (anche se ormai sta diventando un classico), ma è proprio questo il suo punto forte: aver messo alla berlina la seriosità della letteratura. Anche il modo con cui è nato il suo successo ha del mitologico e rientra nel perfetto “american dream”.

Incontro perfetto

Un pomeriggio del 1966 (al tempo lavorava come impiegato alle poste) bussa alla sua porta un uomo, si chiama John Martin. Era il direttore di una ditta di mobili e forniture per uffici, ma voleva diventare editore. Dice a Bukowski che vuole fondare una nuova casa editrice puntando su di lui come autore (era stato colpito da una sua poesia letta in una rivista). Lui accetta. Martin pubblica tre libretti di sue poesie stampandoli in ufficio e pagandogli 30 dollari a testo. Le vendite vanno bene e Martin è incoraggiato a rischiare: lascia il lavoro e diventa editore, fondando la “Black Sparrow Press”. Nel giro di pochi anni le cose vanno ancora meglio e Martin propone a Bukowski di scrivere un testo in prosa. Così nasce Post office (scritto in una ventina di giorni), libro di immediato successo. Entrambi iniziano a guadagnare bene e il successo continua inarrestabile.

Performance poetiche spettacolari

Noi oggi conosciamo Bukowski soprattutto come narratore, eppure i suoi primi libri (escluso qualche racconto) erano di poesie. Tra l’altro, egli stesso dava poca importanza alla propria prosa. Cominciò a pubblicare come poeta e la sua iniziale diffusione fu con i versi. Si trattava di un successo ancora limitato, ma di rapida e crescente diffusione. Le sue letture in locali pubblici si trasformavano in veri e propri show, in cui il pubblico partecipava in modo attivo, ubriacandosi, urlando, applaudendo, qualcosa di simile più a un concerto rock che una noiosa lettura poetica. Per il gestore del locale era un affare, perché facevano il pieno di gente che spendeva; per Bukowski era un affare, perché lo pagavano sempre più profumatamente; per il pubblico era un affare, perché si divertiva. Oltretutto, la maggior parte del pubblico era formato da donne. Quando ci sono donne, alcol e divertimento, il meccanismo è perfetto. Non mancavano le scazzottate, non mancavano le scopate, non mancavano le risate. E non mancava la poesia, una poesia fatta di un linguaggio nuovo, semplice ma diverso, realmente vicina a chi la ascoltava.

Tra dannazione e fama

Altro elemento mitico è il percorso della vita di Bukowski, divisa sostanzialmente in due grandi storie: una fatta di disperazione, l’altra di gloria.
La parte più sostanziosa, quella che ha formato l’humus della sua scrittura, è la storia della disperazione: cresciuto in una famiglia povera, con un padre violento e una madre sottomessa al marito manesco, è un ragazzo con il viso devastato da un’acne spaventosa (che gli segnerà il volto per sempre) che va via di casa, viaggia in pullman e fa lavori di ogni tipo. Beve e frequenta locali malfamati. Il suo primo rapporto sessuale lo ha a 24 anni con una grassona incontrata in un bar. Ma ha una grande passione per i libri e il suo sogno rimane la scrittura. Scrive racconti e li manda a varie riviste, ricevendo continui rifiuti. Poi arriva il successo.

La poetica dei bar

Tom Waits, che era amico di Bukowski, fa notare che la forza dei suoi libri consiste nell’essere riuscito a descrivere quel mondo fatto di uomini completamente ai margini della società, uomini soli che passano le giornate a bere in locali bui. I suoi racconti narrano e danno dignità a quel mondo. Ma non solo, quando Bukowski divenne famoso e andò a vivere nella zona ricca, non smise di scrivere e di raccontare con sguardo realistico, onesto e divertito il mondo che lo circondava. È riuscito ad accompagnare il lettore in varie dimensioni della realtà, mantenendo sempre in presa diretta la narrazione.

La fama

Nonostante il suo grande successo, ha sempre cercato di mantenere vivo lo sguardo sulla realtà. Allo stesso modo, ha mantenuto rispetto per il mondo misero da cui proveniva. Anche quando era al massimo della fama, concedeva propri pezzi a piccole case editrici emergenti. Nonostante la complessità del mercato consumistico, si è sempre tenuto con rigore a distanza dalle trappole dei mass-media. Già piuttosto vecchio, invitato come ospite a un talk-show letterario in Francia (cose impensabili negli Stati Uniti), dopo una serie di domande che riteneva (con intelligenza) ridicole, ha gettato via il microfono e se n’è andato. Con questi atti semplicemente umani e sinceri, ha rafforzato con onestà la propria fama. La gente per strada lo riconosceva e lo apprezzava. E lui si comportava semplicemente da persona, non da star.

Luci e ombre dell’uomo

Certo, inquadrare Bukowski, per quanto sia nudo e sbronzo, non è facile. Secondo lo scrittore Harold Norse (più o meno suo coetaneo), c’erano due Bukowski: prima delle cinque del pomeriggio, era un agnello pieno di sensi di colpa. Anche altri lo ritraggono come una persona timida, riservata, sconcertata davanti al pubblico chiassoso. Dopo le cinque si trasformava in un uomo pieno di sarcasmo, aggressivo, prevaricatore, un uomo che vuole schiacciare gli altri. Un uomo competitivo, che voleva prevalere su tutti e lo faceva in modo arrogante. Come più o meno tutti noi, aveva mille sfaccettature. Morì a 74 anni, ufficialmente per una polmonite provocatagli dalle cure contro la leucemia. “La morte mi fa schifo” scriveva.

Per approfondire: Jim Christy La sconcia vita di Charles Bukowski

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