Monaldo Leopardi: l’arte della mediocrità

Monaldo Leopardi: un curioso personaggio, molto ricco, un po’ imbranato, con ambizioni letterarie e una moglie durissima.

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La famiglia Leopardi era antichissima e cattolicissima, una cattolicissima famiglia della provincia marchigiana. Tra gli avi dei Leopardi troviamo una lunga schiera di magistrati, uomini di chiesa (priori, vescovi, cardinali), molte monache e un buon numero di tipi strani, per non dire matti completi.

I francesi a Recanati

Il conte Monaldo era orgoglioso di appartenere a una progenie così antica, come risulta dalla sua autobiografia. Potete immaginarvi per un uomo così cattolico e nobile e fiero delle proprie tradizioni, cosa significasse vedere le truppe napoleoniche (portatori di quella cosa orrenda chiamata “rivoluzione”) invadere i territori pontifici (era il 1796 e Monaldo aveva 20 anni).
Quando seppe che i francesi si stavano avvicinando, decise di unirsi alla processione che andava da Recanati a Loreto, con la quale si chiedeva alla Madonna di fermare quell’esercito. Fu però inutile: le truppe francesi arrivarono; addirittura arrivò Napoleone stesso. Monaldo però, con ferreo spirito altezzoso, non gli concesse l’onore di guardarlo passare, come avevano invece fatto gran parte dei suoi compaesani, che si erano affacciati alla finestra o scesi in strada. Rimase immusonito e sprezzante in casa propria.

Un ragazzo timido

Monaldo era nato a Recanati il 16 agosto 1776. Aveva perso il padre quando non aveva ancora 5 anni ed era cresciuto con la madre e i vari zii, in un clima cupo, bigotto e noiosissimo.
Due cose paiono essere stati i suoi interessi: la cultura (scrisse tante e forse troppe cose) e le donne; in entrambi i casi non si mostrò un fenomeno.
A 16 anni si invaghì di una sua coetanea, una contessina conosciuta durante un viaggio a Pesaro. Pare, tra l’altro, che anche lui piacesse a lei. Erano però entrambi così timidi che nessuno osava fare il primo passo, per cui la faccenda si risolse in un puro e irrisolto gioco di sguardi e forse sorrisi; non si scambiarono nemmeno una parola. L’avventura d’amore finì quando un amico di famiglia (il classico rompicoglioni che vuol fare il simpatico) scherzò pubblicamente sull’interesse di Monaldo per quella ragazza. Egli, rosso come un peperone, fuggì via negando il tutto. Il possibile amore finì così… chissà, forse lei sarebbe stata quella giusta.

Accordo di matrimonio…

Passano altri 2 anni, e arriviamo quindi ai 18. A questo punto, essendo il capofamiglia, aveva il dovere di occuparsi seriamente del patrimonio (notare che sua madre gli proibiva ancora di uscire di casa senza il precettore).
Ora, per quanto di sé scriva di sapere bene come le cose vadano fatte, in realtà combina solo guai: innanzitutto concede la sorella (sedicenne) in sposa a un marchese dissestato negli affari, garantendole una vita infelice.
Poi decide di fidanzarsi e accetta la proposta di una famiglia di Bologna, che vuole piazzare la figlia, la marchesina Diana Zambeccari. Piccolo dettaglio: non aveva mai visto la ragazza.

Delusione e gaffe…


L’accordo di matrimonio, al tempo, consisteva in un vero e proprio contratto. Bene! Monaldo parte per Bologna per vedere la sua promessa sposa. Lo accompagna il conte Gatti, il quale era anche mediatore della faccenda. L’accordo prevedeva che, se la ragazza gli fosse piaciuta, avrebbe tirato fuori un fazzoletto bianco.
Quando arrivano a Bologna, ad aspettarli al palazzo non c’è ancora lei, ma tutta la famiglia di lei, più amici vari. Gli fanno delle grandi feste e lui si trova così imbarazzato che, quando la ragazza arriva, si sente costretto a estrarre il fazzoletto. Poco dopo si rende conto di essere stato troppo precipitoso: la ragazza, non solo non gli piace, ma è più vecchia di lui. Torna a Recanati pieno di dubbi… non sa, a questo punto, come risolvere la questione, anche perché hanno già stabilito la dote e la data del matrimonio, più tutta una serie di spese abnormi per organizzare la cerimonia. Insomma, è incastrato.

Rimedi


Non sa come uscirne ma trova questa scappatoia: scrive diverse lettere anonime al padre di lei, nelle quali si lascia intendere che lo sposo non è per nulla convinto del matrimonio. Così riesce a recedere dal contratto stipulato, ma la famiglia Zambeccari chiede, in compenso, il rimborso di tutte le spese sostenute più una lauta somma per il danno subito. Riesce a sistemare la faccenda pagando, e non poco.

Altre spese

Altri soldi vanno via due anni dopo, quando deve finanziare il tentativo di carriera militare del fratello nelle truppe papaline. Il fratello ha una gran voglia di fare il soldato ma, quando realizza che a fare il soldato si rischia la pelle, rinuncia. E anche qui deve mettere mano al portafogli! Così come deve fare per ammansire le truppe, prima francesi, poi papaline, poi di briganti che facevano il bello e il cattivo tempo in zona. Tutti gli anni della fine Settecento sono per Monaldo un complicato barcamenarsi tra invasioni e spese. In seguito tenta un grosso affare con la bonifica di terreni di proprietà, però gli va male, e via altri soldi.

La moglie

In questi anni trova tuttavia moglie. Il 15 giugno del 1797, durante la festa di san Vito, in chiesa, vede una donna bellissima e se ne innamora. È la marchesina Adelaide Antici. C’è però un problema: è già promessa in sposa. Monaldo va a parlare col fratello di lei; riesce a risolvere facilmente la faccenda e ne ottiene la mano. Come notate, in un modo o nell’altro, Monaldo le aveva sempre vinte. Ma, come annota egli stesso, quel matrimonio sarà la sua prigione. “Mi ero intricato” scrive “nelle panie da me medesimo”.

Una donna rigida

Nel giro di pochi anni, Adelaide si rivelerà una donna di una severità e un rigore inquietanti; avarissima nella concessioni di affetti, muta, impositiva, incredibilmente tirchia (pare avesse uno strumento per misurare le uova che le contadine le portavano e che non cambiasse abito per risparmiare). Grazie a lei, tuttavia, vengono risollevate le finanze di casa Leopardi. La gestione di Monaldo stavano infatti portando la famiglia allo sfascio economico. Lei quindi prende in mano le redini economiche e controlla puntigliosamente ogni minima spesa. Sostanzialmente, assume il comando. Egli, succube della moglie, non osa mai ribellarsi; si lamenta coi figli ma, con lei, sempre testa bassa. Così definirà il loro matrimonio: “una benedizione divina e un divino castigo”.
E pensare che la mamma glielo aveva detto di non sposarla… le avesse dato retta…

Fine corsa

Monaldo Leopardi fu insomma un uomo nato con la camicia di seta, abituato al denaro e incapace di gestirlo, convinto di una propria superiorità aristocratica ma, in fondo, una specie di vitellone che incolpava delle proprie sfortune mai sé stesso; era sempre colpa della sorte. Era così pieno di soldi e ingenuo che, molti intorno a lui, se ne approfittarono e lui nemmeno se ne accorgeva.
Nonostante fosse un conservatore reazionario, un pigro privilegiato, uno che non ha mai faticato un giorno in vita sua, risulta più comico che odioso. E in fondo dobbiamo dire “grazie” a quest’uomo e alle sue cazzate. D’altronde, grazie anche a lui, è nato Giacomo.
Morì (1847) a Recanati (dove era sostanzialmente rimasto tutta la vita), in casa propria, nel proprio letto, 10 anni dopo il figlio.

Per approfondire: Iris Origo Leopardi

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