1853 – Vincent Van Gogh: l’arte della pazzia

Van Gogh, uno dei più grandi artisti della storia, visse una vita disperata, trattato come un cane, consapevole genio.

(Versione audio)

Vincent Van Gogh nacque morto il 30 marzo 1852. Un anno dopo, esattamente lo stesso giorno, nacque suo fratello, a cui i genitori diedero lo stesso nome. Il secondo Vincent visse 37 anni e fu uno dei più grandi artisti della storia. Un genio di cui nessuno si accorse.

Traumi infantili

Ma per addentrarci nella vita e nell’anima di questo grandissimo pittore, dobbiamo prendere in considerazione lo strano fenomeno di un uomo che nasce e che viene battezzato con lo stesso nome del fratello morto. Proviamo a immaginarci la bizzarria pirandelliana di trovarci al cospetto di una tomba che ha lo stesso nostro nome e cognome. Molti psicologi hanno tentato di dare una interpretazione psico-analitica e psichiatrica di Van Gogh e i possibili quadri clinici stilati sono tra i più vari. C’è tuttavia una osservazione interessante: sostiene che un bambino, il quale porta lo stesso nome del fratello morto, si trascina con sé un lacerante senso di colpa, perché inconsciamente fa i conti con il fatto che la propria vita è in debito con un’altra vita, e ciò lo porta a un insano bisogno di espiazione.

Una enorme produzione perduta

Van Gogh iniziò a dipingere all’età di 27 anni e morì suicida a 37. La più grande testimonianza di sé, oltre che dai quadri, è a data dalle lettere che egli scrisse al fratello Theo. In una di queste annota (aveva allora 27 anni) che gli rimanevano dai 6 ai 10 anni di vita. Non si sbagliava! Ed è sorprendente come quell’uomo, che per certi aspetti era completamente pazzo, fosse lucido. Dipinse per 10 anni. La prima cosa che salta agli occhi è il breve periodo della sua produzione, ma ancora più incredibile è il numero delle opere realizzate (oltre 1000 circa, e molte, forse moltissime andate perdute… ne donò parecchie, e chi le riceveva spesso non sapeva che farsene, per cui o tentava di regalarle, inutilmente, o le usava per accendere il fuoco o per tappezzare le finestre rotte, alcune furono strappate, altre perse, alcune prese a sassate per gioco… in un’asta del 1987 il suo dipinto I girasoli venne venduto per 40 milioni di dollari).

Genio incompreso

Per quanto bistrattato in vita, deriso, picchiato, rinchiuso, rifiutato, umiliato, Van Gogh sapeva… sapeva di essere un genio. Sapeva che la propria arte era talmente avanti da essere troppo in anticipo sui tempi; sapeva che avrebbe cambiato la visione dell’arte; sapeva di essere “oltre” molti contemporanei. E suo fratello Theo, forse anche lui in qualche modo sapeva; se non sapeva, sospettava o sentiva. Ma, attenzione, non solo il pubblico non era in grado di apprezzare la sua arte, ma anche molti grandi artisti suoi contemporanei. Gauguin, Mauve, Cézanne, questi lo ritenevano un matto dalla buona volontà. Tutto qui!

La critica

E non è esattamente corretto dire che fu sempre e solo bistrattato come artista: intorno al 1888 una rivista, il Mercure de France, pubblicò un articolo benevolo sulle sue opere. Eppure Van Gogh si irritò per questo, perché non accettava l’idea che le sue opere potessero valere solo qualche centinaio di franchi. Sapeva che il loro valore era nettamente superiore. E non sbagliava.

Prima di dipingere

Iniziò a dipingere a 27 anni, si diceva. Ma cosa fece prima? La vita di Van Gogh, come egli stesso la definì, fu una “infinita discesa”. Una infinita discesa lastricata di sofferenza in cui l’arte piombò come manna dal cielo, perché fu la cosa in cui trovò sé stesso. È chiaro che amava dipingere. Lo faceva continuamente, ad ogni ora in ogni condizione. Preferiva spendere i pochi soldi che aveva in colori e attrezzi per dipingere, piuttosto che in cibo. Era d’altronde abituato a mangiare poco e in modo molto sobrio, pane e formaggio, poco altro. I soli vizi che aveva erano donne (per lo più puttane), tabacco e alcol. Fino alla scoperta della pittura, Van Gogh visse come un disperato inetto che provò a fare vari lavori, risultando sempre fallimentare. Provò anche a diventare sacerdote, e anche in questo fallì (non aveva neppure il cinismo necessario per accettare minimi compromessi).

Testimonianze

Per farsi un’idea concreta di come poteva apparire in vita, pensate a un matto che gira per strada con espressione sofferta e uno sguardo schivo, spaventato, incattivito; fisicamente basso e secco, largo di spalle. Perennemente solo. Sporco. Vestito in modo misero e goffo; cappello di paglia in testa. In spalla una specie di zaino fatto di corde, con cui portava il treppiede e tutto il necessario per dipingere. Una donna, Jeanne Calment (1875-1997),che lo aveva visto e poté offrirci una testimonianza diretta, lo descrive “sporco, malvestito e sgradevole.” Van Gogh rifiutava ogni forma di lusso e sosteneva che il successo in vita, per un artista, è una disgrazia. Per cui poco gli importava degli elogi e dell’approvazione dei critici. Certo soffrì delle persecuzioni che gli toccò subire, soprattutto ad Arles, dove la gente lo temeva come pazzo (in particolare dopo il famoso taglio dell’orecchio, atto che fece in seguito a una furiosa lite con Gauguin), dove i ragazzetti gli facevano qualsiasi tipo di scherzo e gli adulti benpensanti chiedevano che quel matto fosse rinchiuso o imprigionato.

Sien

Ciò a cui egli ambiva era solamente la pace per dipingere. Aveva creduto in passato e sperato in un rapporto con una donna, nella quiete domestica di un normale rapporto di affetto, senza ottenerlo mai. Due furono gli aborti di relazione, diciamo, normale, che ebbe: uno (il solo relativamente stabile) con Sien (lui aveva 29 anni, lei 32): una ex prostituta, incinta e con due figli e una madre a carico, già molto sfatta, nonostante l’età. Con Sien vi è addirittura un tentativo di convivenza (entrambi senza un soldo) che finirà presto in niente.

Margot

L’altra è Margot Begemann, una quarantenne mai sposata, ancora vergine, timidissima, ma innamorata di lui. Probabilmente, non si sfiorarono mai.
Lei lo accompagnava per i campi quando lui andava a dipingere, lo apprezzava, amava stare con lui. Ma anche lei non era proprio una persona equilibrata. E le famiglie di entrambi li trattarono come due adolescenti, intromettendosi nel loro rapporto e infine vietandolo. Lei sarà destinata a essere zitella; lui alla sua solitudine angosciante. Questo accade quando Van Gogh ha circa 30 anni. Seguirà il periodo parigino, dove verrà in contatto con noti pittori (molti di loro poveri quanto lui) e la sua arte farà un ulteriore balzo in avanti. Dopo Parigi, il trasferimento nel sud, ad Arles, dove dipingerà dei capolavori, ma in condizioni tremende, e dove finirà in manicomio.

L’aggravarsi della salute

Dopo il manicomio, Van Gogh è allo stremo. È spesso preda di attacchi terrificanti d’angoscia e quasi spera di essere rinchiuso, almeno può stare in pace tra i matti, dove nessuno lo tortura. Viene, per l’ennesima volta, in suo aiuto il fratello Theo (che intanto si è sposato e ha avuto un figlio), lo fa tornare a nord e gli trova un piccolo posto in cui vivere ad Auvers, non lontano da Parigi. Qui lo affida alle cure di un medico, il dottor Gachet, che è più matto di Van Gogh (e Van Gogh lo capisce subito).

Gachet

Si tratta sostanzialmente di due squilibrati che si fanno compagnia. Gachet gli consiglia di andare per i campi a dipingere, gli dice che quello gli fa bene.
Belin se gli fa bene! Una mattina, siamo nel luglio 1890, si incammina per i campi, prende una stradina, si sdraia dentro un letamaio. Ha con sé una pistola (se l’è fatta prestare per scacciare i corvi che lo tormentano). Si spara alla pancia. Poi, così ferito, si trascina verso casa, si sdraia e muore il giorno dopo, dopo una lunga gloriosa agonia.

Per approfondire: Giordano Bruno Guerri Follia? Vita di Vincent Van Gogh

Questa voce è stata pubblicata in Fine corsa e contrassegnata con , , , , , , , . Contrassegna il permalink.