1969 – Piazza Fontana: Milano

(Versione audio)

La storia di Piazza Fontana è tremenda! Non tanto (chiaro… anche…) per ciò che è accaduto quel giorno del 1969, quanto per la serie di accuse infondate, drammi che ne sono conseguiti, processi in merito, in un continuo alternarsi di condanne a ergastoli, sentenze poi modificate in appello e concluse, sostanzialmente, in nulla. Nulla! Quando poi si viene a sapere che, dietro quanto è successo, c’era l’ipotetico zampino della P2, allora, si ha davvero la netta sensazione di vivere in un Paese in cui le peggiori canaglie hanno la meglio.

Il fatto

Il 12 dicembre del 1969 (era un venerdì, due settimane al Natale, per cui bisogna immaginarsi le vie piene di gente… chi esce dal lavoro, chi fa spesa, in un’atmosfera pre-festiva) all’interno della sede della Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, a un centinaio di metri dal Duomo, sono le 16:36.
L’orario di chiusura era scoccato da qualche minuto, ma gli sportelli erano ancora aperti. La banca è piena di persone, soprattutto venute dalla provincia.
Alle 16:37… il boato…. Da sotto un tavolo, in una borsa, 7 chili di tritolo. La deflagrazione è terrificante. Subito non si capisce… la prima ipotesi è l’esplosione di una caldaia. Un’impiegato della banca, ancora vivo, tra la polvere, si alza da dietro uno sportello e vede cadaveri sparsi ovunque. Vede un uomo senza gambe chiedere aiuto. Urla. Silenzi. Urla. All’interno della sala una grande voragine e ovunque sangue mescolato a brandelli di corpi e frammenti di vetro.
I morti furono 17; 88 i feriti.

Altre bombe

Quello stesso pomeriggio, nel giro di neppure un’ora, scoppiarono altre tre bombe a Roma: 16:56 (Banca nazionale del lavoro, 13 feriti); 17:20 (davanti al Museo del Risorgimento, 4 feriti); 17:40 (davanti all’Altare della patria, nessuna vittima). Oltre a queste, un’altra bomba venne trovata il giorno dopo, rimasta inesplosa, nella Banca commerciale a Milano, in piazza della Scala.
Non era una caldaia…

Le vittime

17 morti: per lo più uomini adulti che si trovavano in banca per affari di vario tipo. 17 morti che lasciarono sostanzialmente altrettante vedove e figli. Parliamo in un’epoca in cui era per lo più l’uomo il perno economico della famiglia. Per cui, al lutto, si aggiungeva il problema economico, problema che, di fronte a una tragedia di questo tipo, pare un’inezia, ma nei fatti non lo è. Infatti le mogli e i figli di questi defunti si trovarono a dover affrontare, oltre alla nera fatalità, la contingenza di come tirare avanti. Ma a questo c’è rimedio. Rimedio non c’è alla morte. E rimedio non c’è allo smacco di indagini e processi andati avanti per anni, arrivando all’assoluzione dei responsabili.

Altre vittime

Iniziarono quasi subito, chiaramente, le indagini. E si trovò quasi subito un sospettato. La pista battuta era quella anarchica. Venne portato in questura Giuseppe Pinelli (aveva 41 anni ed era stato partigiano; di professione, ferroviere; gestiva con altri il Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa). Venne trattenuto per 3 giorni (ben oltre le 48 ore di fermo legale) e interrogato. Intorno alla mezzanotte del 15 dicembre, Pinelli cadde dal quarto piano di un ufficio del commissariato. La sua morte fu catalogata come suicidio o incidente o inspiegabile caduta. Il commissario che guidava l’operazione era Luigi Calabresi (al momento della morte di Pinelli, non era nella stanza) ma anche lui pagò con la propria vita: il 17 maggio 1972, sicari delle BR lo ammazzarono.
Come si nota, la rivolo di sangue procedeva.

Depistaggi

Le indagini continuavano. Per i primi mesi, era chiaro, lampante, innegabile, che i responsabili erano gli anarchici. La banca aveva messo a disposizione, in forma gratuita, un avvocato per le famiglie dei defunti. Tale avvocato, presentandosi, aveva detto una semplice cosa: “Un fatto è certo: i responsabili sono gli anarchici!” Dopo la morte di Pinelli, le accuse caddero su un altro. E questa volta erano indubitabili: Pietro Valpreda, altro anarchico, di professione ballerino. Bruno Vespa, che al tempo era un giovane giornalista, dette per certa la notizia: Valpreda è il responsabile della strage di piazza Fontana (anni dopo si scuserà… dicendo che, in quel periodo, nessuno metteva in dubbio la colpevolezza di Valpreda. Non si vuole qui accusare Vespa, se mai ricordare di quanto possano essere attendibili le notizie).

Una soluzione irrisolta

Ma Valpreda non c’entrava nulla. Le indagini ebbero una svolta quando si decise di seguire la “pista della borsa”. La commessa di un negozio di borse, riconobbe in una foto un determinato tipo di borsa (il negozio in cui lavorava aveva l’esclusiva di vendita per quell’articolo). Non si capisce come e perché (ma si sospetta) la “pista della borsa” fu inizialmente non considerata. Erano state vendute diverse di quelle borse a una stessa persona. Fu quello l’indizio fondamentale. Solo nel 1975 si giunse a una condanna: ergastolo per Franco Freda, Giuseppe Ventura, Guido Giannettini. Gli anarchici non c’entravano, i responsabili erano i fascisti. Ma la corte d’Appello e poi di Cassazione assolse i tre accusati. Assoluzione confermata nel 1985. Negli anni Novanta il caso fu riaperto. Si affacciava un nuovo sospettato: Delio Zorzi (ex appartenente a Ordine Nuovo, attualmente vive negli Stati Uniti e fa l’imprenditore).
Si arrivò a una sorta di conclusione inconclusa nel maggio del 2005: sono ritenuti responsabili Franco Freda e Giovanni Ventura, ma non processabili in quanto assolti, precedentemente, in maniera definitiva.
E, per finire, lo smacco degli smacchi: ai parenti delle vittime furono addebitate le spese processuali.

Per approfondire: Rosetta Loy Gli anni fra cane e lupo; Wikipedia; podcast di Radio Rai.

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