Chopin: l’arte della delicatezza

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La musica di Chopin (in particolare i Notturni) tocca, anzi, sfiora i punti più delicati della nostra anima. E in effetti egli era una persona estremamente sensibile e delicata: un uomo di cristallo. Come il cristallo, era prezioso e trasparente, ma, come il cristallo, duro.

Elitario e severo

Considerato per eccellenza autore romantico, era completamente indifferente al movimento romantico, così com’era del tutto indifferente a qualsiasi forma di ideologia. Conosceva a malapena l’esistenza di un movimento romantico e, se lo conosceva, di certo lo considerava una baggianata. Degli altri musicisti aveva una considerazione severissima; era iper-selettivo nella scelta delle composizioni degne di nota. Tanto per intenderci: di Mozart salvava pochissimo (ma apprezzava tantissimo quel poco); di Beethoven solo la Appassionata (riteneva sgraziati, esagerati alcuni aspetti della sua musica); nulla di Schumann. Franz Liszt (che era suo contemporaneo e con cui era, diciamo, in concorrenza) spese per lui parole di grandissima stima (tanto da scrivere un libro in suo onore); a differenza di Chopin, che mai si pronunciò in modo positivo sulla musica del collega.

Un uomo malato

Fryderik Franciszek Chopin (1810-1849) era nato in un piccolo paese polacco, da famiglia economicamente modesta, che lo avviò, bambino, agli studi musicali in cui evidentemente eccelleva. Le sue capacità artistiche furono, già nella prima adolescenza, apprezzate ed ebbe importanti riconoscimenti. A 20 anni (in seguito a una repressione russa) si trasferì a Parigi, dove sostanzialmente visse per tutta la vita, frequentando ambienti aristocratici e artistici.
Si dice fosse una persona molto gentile, pacifica, cordiale e che, dietro questo apparente mare calmo, celasse una profonda sofferenza.
Ciò che tuttavia meglio lo caratterizzava era la gracilità fisica e la salute fragilissima, per cui tutto ciò che era (e anche la sua musica) va considerata sotto la prospettiva di una perenne sofferenza che lo perseguitò, in un progressivo aggravarsi fino alla morte, all’età di 39 anni.

Ritroso concertista

Il suo modo di suonare non era per il vasto pubblico; per quanto, a differenza di Beethoven, non rasentò mai la povertà: le sue opere e le sue lezioni (e i finanziamenti di ricchi estimatori) gli permisero una vita economicamente più che dignitosa. Diede però pochissimi concerti; si sentiva inadatto: era intimidito dal pubblico; i respiri della gente lo asfissiavano, i loro sguardi lo paralizzavano.
Si esibì in pubblico quindi di rado e, se lo faceva, lo faceva solo perché si rendeva conto che gli toccava farlo. Essendo perennemente malato, oltretutto, i concerti lo sfiancavano. Preferiva invitare pochi, fedeli amici e conoscenti a casa (in quella casa che, come i testimoni affermano, era fatta di zone buie) e suonare per loro. Era ben consapevole delle proprie qualità artistiche, ma non aveva, almeno tra il vasto pubblico, un tangibile riscontro. Essendo di carattere iper-riservato, gli elogi lo imbarazzavano fino al punto da infastidirlo.

Amori

Alcuni lo hanno accostato a Leopardi (Chopin è definito “il poeta della musica)”; ma Leopardi soffrì per tutta la vita di un perenne rifiuto da parte delle donne; maledizione che non toccò a Chopin.
Amava starsene ritirato nella propria nicchia, al sicuro dai guai del mondo. Non vi sono avventure degne di nota o complicazioni o episodi particolari da segnalare nella sua esistenza. Quindi pochi e moderati amori (due anni di fidanzamento con la nobile Maria Wodziʼnska e una complessa relazione con la scrittrice George Sand). Seppe evitare qualsiasi situazione che potesse complicargli la vita, che fossero questioni sentimentali o politiche o culturali. La sua regola era “mai esporsi”. Fosse un nostro contemporaneo, probabilmente non si pronuncerebbe mai sui social, anzi, non lo trovereste sui social-media (a differenza, che so… D’Annunzio saprebbe usarli con grande astuzia). Non parlava mai né di amore né di amicizia. Forse perché, per la sua intelligenza emotiva, sapeva che si tratta di questioni troppo complesse; meglio evitare. Chi si avvicinava a lui, avvertiva una grande cortesia diluita in una impenetrabile riservatezza: ti faceva arrivare fino a un certo punto ma mai oltre. Evitava, sorvolava su tutto ciò che implicava emozione.

Riservatezza aristocratica

Dietro quella figura armoniosa, quei capelli biondi e morbidi, quegli occhi azzurri, quel naso leggermente ricurvo, quel sorriso gentile e mai amaro, ci si trovava di fronte a una persona inavvicinabile.
Riguardo l’infiammato contesto storico e politico della sua epoca, evitava prese nette di posizioni, sebbene non avesse grande simpatia per la democrazia. Diffidava di tutto ciò che avesse a che fare con il popolo. Tutto ciò che era “massa” tendeva ad essere troppo esagerato e incontrollabile.
In generale, per intenderci, su tutto ciò che riguardava discussioni politiche o filosofiche o religiose (era cattolico), Chopin evitava di sbilanciarsi, considerandole parole inutili. Quando si trovava tra amici che discutevano animatamente di qualcosa, non faceva altro che appostarsi nel proprio silenzio e, se gli si chiedeva opinione, concedeva dei commenti vaghi.

Sperimentatore

Il suo atteggiamento, per quanto cauto nell’esporsi, non va confuso però con ignavia. Egli seppe prendere molto chiaramente una posizione, e lo fece nell’ambito che gli era più consono: la musica. Negli anni in cui egli visse, in particolare in Francia, il dibattito culturale verteva su due linee: una classica e una romantica. La prima riteneva che l’arte dovesse impostarsi su canoni già stabiliti; l’altra era per l’innovazione, per la rottura dei canoni classici di bellezza. Chopin (per quanto, abbiamo detto, snobbasse il romanticismo) si muoveva nella direzione dello sperimentalismo e della introduzione di nuove forme rivoluzionarie. Per cui, se egli rimane ideologicamente un conservatore, non lo è sul piano artistico: musicalmente egli porta delle forti rotture. Forse proprio nell’ottica di conosce bene la propria arte, sa apportare novità. Allo stesso tempo, tuttavia, disprezzava chi voleva introdurre rotture in modo, come dire, disordinato, senza cioè avere consapevolezza di ciò che fa.
Similmente, Chopin spezza la tradizione, ma la conosce molto bene.

L’aggravarsi della malattia

Gli ultimi due anni della sua breve vita furono uno strenua lotta contro l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. La tubercolosi non gli dava ormai scampo. A volte riusciva a malapena a salire le scale, per cui evitava di uscire. Il suo rapporto di amicizia/amore con George Sand (dopo il viaggio insieme a lei a Maiorca) era finito e si ritrovava solo con i propri rimpianti. Se le parlavano di lei, gli venivano le lacrime agli occhi.
Cercò però di reagire. Organizzò un viaggio in Inghilterra, dove fece due concerti (nonostante i consigli dei medici). Quando rientrò a Parigi, era ormai agli sgoccioli. Gli ultimi giorni li passò a letto, consolato da qualche amico e dalla sorella, che era venuta da Varsavia. Chiese a un’amica, la contessa Delfina Potocka, di mettersi al piano e cantare per lui. I pochi presenti ascoltavano in silenzio, mentre lui vacillava tra sonno e bagliori di lucidità. Domandò a un sacerdote che gli era accanto di pregare insieme a lui, mentre teneva la testa appoggiata alla spalla dell’amico Gutmann. Pare che la sua ultima frase fu: “Chi c’è vicino a me?”. Baciò la mano dell’amico e spirò. Era il 17 ottobre 1849.
Come era usanza all’epoca, Chopin aveva indicato l’abito con cui desiderava essere sepolto. Scelse il completo da concertista. Come da lui richiesto, al suo funerale fu suonato il Requiem di Mozart.

Per approfondire: Franz Listz Chopin

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