Hiro Onoda: mai arrendersi!

Il tenente Hiro Onoda (1922/2014) aveva ricevuto un incarico dai suoi superiori: insediarsi nell’isola di Lubeng, nelle Filippine, e difenderla dall’avanzata nemica. L’ordine era molto semplice: difenderla ad ogni costo. Per Hiro Onoda l’ordine era chiaro e andava rispettato senza batter ciglio, qualsiasi cosa accadesse.

1945

Tutto avviene nel contesto della Seconda Guerra Mondiale. Più precisamente, nello scenario del Pacifico, dove lo scontro è tra il Giappone e gli Stati Uniti. Scontro che, come bene o male sappiamo, si concluse con la resa incondizionata da parte del Giappone, dopo il lancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, avvenuto il 6 e il 9 agosto 1945.
Il 7 maggio 1945, ovvero 3 mesi prima, la Germania aveva firmato la resa; Hitler, assediato nel proprio bunker, si era suicidato il 30 aprile.

Il fronte del Pacifico

Sul fronte del Pacifico la guerra era ancora aperta, sebbene l’esito fosse ormai chiaro. Le operazioni, via mare e via cielo, da parte degli americani, avevano logorato l’esercito nipponico su quasi tutto l’arcipelago orientale. La sola arma efficace che rimaneva ai giapponesi erano i kamikaze: aviatori che si lanciavano sulle portaerei nemiche. Nelle battaglie di Iwo Juma e Okinawua (primavera del 1945) il numero di soldati deceduti fu enorme, ma il rapporto di morti tra Giappone e Stati Uniti era di oltre 10 a 1. Eppure i giapponesi non si arrendevano. La difesa di avamposti strategici rimaneva determinante.
In questo contesto va considerata la vicenda di Onoda.

La missione di Onoda

Nel dicembre del 1944, il tenente Hiro Onoda aveva ricevuto il seguente ordine dal maggiore Taniguchi: “Avrà il compito di tenere occupata l’isola fino al ritorno dell’esercito imperiale. Dovrà difendere questa zona con la guerriglia a ogni costo.” Gli era concesso utilizzare qualsiasi mezzo, con un solo divieto: togliersi la vita.
Onoda accettò l’incarico. Dal quel momento in avanti, si ritrovò a destreggiarsi nell’isola, nascondendosi nella giungla, mentre quasi tutti i soldati rimasti fuggivano e i soldati feriti, piuttosto che cadere nelle mani nemiche, si suicidavano.
Nel passare dei mesi, Onoda aveva trovato la compagnia di uno sparuto gruppo di uomini. Con lui il caporale Shimada e il caporalmaggiore Kuzuka; più tardi anche il caporale Akatsu, disperso e in pessime condizioni.

La guerra è finita?

Quasi un anno dopo dall’incarico affidatogli (ottobre 1945), in una situazione spettrale, un piccolo aereo sorvola la giungla (i quattro soldati si nascondono) e lascia cadere una manciata di qualcosa che sembrano coriandoli. Uno di questi foglietti viene intercettato. C’è scritto un messaggio: la guerra è finita.
Ma il messaggio tradisce diverse lacune: non vi è scritto chi ha vinto e vi sono errori grammaticali. Impossibile che lo abbia scritto un giapponese. Nasce il sospetto che si tratti di un trucco dei nemici per farli uscire allo scoperto.

1950

Quindi decidono di rimanere lì, di non arrendersi; e devono vivere in quella giungla affrontando pioggia, umidità, zanzare, sanguisughe, nutrendosi come possono e facendo attenzione ad ogni segno, come possibile presenza di un nemico che non si capisce più se sia reale o mentale. Devono essere perennemente pronti a fuggire o reagire in pochi secondi.
Una sopravvivenza estenuante. Agli inizi del 1950 uno di loro si arrende: è il caporale Akatsu, che si consegna all’esercito filippino.
Mesi dopo, i tre rimasti vengono raggiunti da un altoparlante. È la voce di Akatsu che vuole rassicurarli. Sta bene, è in salvo e li invita a uscire.
Eppure essi sono convinti che, ancora una volta, sia un inganno del nemico.

1954

Passano altri anni. E in quegli anni le giornate sono grigie dell’incessante pioggia. Il solo piacere che i tre soldati hanno è parlare del passato, prima della guerra, degli amici, della famiglia, delle donne. Sono racconti che si susseguono e ripetono, ma che si arricchiscono sempre di nuovi dettagli. A volte non sanno se ciò che stanno vivendo sia realtà o sogno. A volte in nervi saltano. Nella primavera del 1954, in una distesa tra la giungla, vedono una mucca. Di solito si nutrivano di prede prese dagli abitanti dei villaggi nei dintorni, e dovevano farlo con attenzione e rapidità. Questa volta peccano di leggerezza. Shimada si avvicina alla mucca per ucciderla, ma uno sparo lo raggiunge dritto in testa. Era una trappola dell’esercito filippino.
Onoda e Kuzuka riescono a dileguarsi rapidi.

1972

Poi trascorrono quasi altri 20 anni. Nella giungla, Onoda e Shimada hanno continuato a vivere, ormai abituati a quella vita, perché quella era ormai la loro vita. Ogni tanto vedono sfrecciare in cielo aerei velocissimi, che si muovono i strane direzioni. Non capiscono come possa un aereo volare così in alto e a quelle velocità. Ipotizzano nuovi fronti di guerra, nuove armi micidiali. Vengono raggiunti da ulteriori tentativi per trascinarli fuori dalla giungla. Un giorno, un aero dall’alto emana l’ordine di arrendersi, perché la guerra è finita da tempo. Ma loro continuano a credere che si tratti di un inganno. Nell’ottobre del 1972, anche Shimada cade in un’imboscata e muore.
A questo punto Onoda è solo.

La resa

Hiro Onoda ha consegnato le armi il 9 marzo 1974. E’ rimasto in quell’isola per 30 anni. In tutto quel tempo sono cambiate tante cose nel mondo: le automobili si sono diffuse a milioni, le case si sono riempite di lavatrici, televisori, frigoriferi; si è diffuso il rock n roll, i jeans, la minigonna; l’uomo è sbarcato sulla luna. I fronti di conflitto sono diventati altri.
Per convincere Hiro Onoda a consegnare le armi, ci volle la coraggiosa intercessione dell’esploratore Norio Suzuki, il quale mise in contatto Onoda con lo stesso uomo che gli aveva impartito l’ordine: il maggiore Taniguchi, che nel 1974 aveva 88 anni.
Il maggiore Taniguchi gli lesse l’ordine del Comando imperiale: deporre le armi e consegnarsi all’esercito filippino.
Solo la fermezza del suo superiore riuscì a dare la forza a Onoda di non crollare in ginocchio. Un tempo uno era un adulto e l’altro un ragazzo; ora uno è un vecchio e l’altro un adulto. Sembrava un sogno.

Ritorno alla normalità

Quando Onoda si arrese ufficialmente al governo filippino, il presidente Manila lo trattò con tutti gli onori e addirittura gli riconsegnò la katana che lo aveva accompagnato per tutti quegli anni.
Quindi tornò in Giappone, ma tutto era adesso e tutti quei cambiamenti lo delusero. Gli pareva che la propria nazione avesse perduto la propria anima: si era piegata al capitalismo. Una delle prime cose che fece fu far visita alle famiglie dei commilitoni caduti. Infine si trasferì in Brasile, dove fondò una scuola di sopravvivenza per bambini. Si sposò. Non ebbe figli. Morì a Tokyo all’età di 91 anni.

Per approfondire: Werner Herzog Il crepuscolo del mondo

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