1610 – Caravaggio: una vita spericolata

Caravaggio, artista straordinario, noto, oltre che per le sue stupende opere, per la sua maledetta vita.

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Non si può certo dire che Michelangelo Merisi (1571-1610), meglio noto come Caravaggio, fosse una persona accomodante e pacifica. Non era un uomo che abbassava tanto facilmente la testa e, se c’era da menare, menava. Il suo temperamento va però inquadrato in un’epoca e un contesto particolarmente violenti.

La Roma del 1600

Caravaggio era nato a Milano e, intorno ai 25 anni, andò a vivere a Roma, dove aveva maggiori possibilità di lavoro come pittore.
In quel tempo, a Roma, risse, furti, stupri, assassini erano all’ordine del giorno. Su una popolazione di circa 60.000 abitanti (la metà di Milano, un terzo di Venezia e Napoli) 7.000 erano in carcere. Ovvero più del 10%.
Le condanne a morte erano più di una volta a settimana. Girando per la città si potevano trovare addirittura i programmi delle esecuzioni, con data, orari, luogo e dettagli. Tra i dettagli c’erano cosette come “smembramento”, “fracassamento delle ossa”, “impiccagione”, “decapitazione” e, a volte, spettacoli sopraffini come “squartamento tramite cavalli da tiro”.
L’11% della popolazione era dedita alla prostituzione; si trattava a volte anche di donne sposate, che si vendevano con il consenso del marito. La percentuale dell’11% può forse apparire sorprendente ma, se si fa un breve calcolo (considerando la popolazione femminile, e di questo escludendo anziane e bambine) il numero è ben più che sorprendente.

Il realismo delle sue opere

Questi dati aiutano meglio a capire le opere di Caravaggio. La maggior parte dei suoi dipinti fu realizzata a Roma, e non sarà forse un caso che alcuni siano così crudi e realistici nei dettagli, così pieni di tensione e di angoscia. Evidentemente dipingeva ciò che vedeva. Da notare, tra l’altro, che nei suoi quadri i torturatori di Gesù o di santi vestono corazze ed elmi degli armigeri papali. Altro particolare interessante è che spesso usava come modelle donne che si prostituivano, e spesso veniva criticato o rifiutato dai committenti, dato che rappresentava sante o Madonne, appunto, con il volto di prostitute.

Un artista provocatorio

Capitava di frequente che le sue opere fossero rifiutate dai committenti, e non per questioni estetiche, bensì ideologiche: erano considerate offensive. Un motivo lo abbiamo visto sopra, un altro è la scelta scenica che egli faceva di figure religiose. Per esempio, la prima versione di San Matteo e l’Angelo mostra un San Matteo che sembra completamente stordito, quasi stupido. Infatti fu rifiutata dal committente. Michelangelo non se la prendeva, anzi, sembrava godersi della provocazione che suscitava. Non sopportava lo stereotipo, soprattutto in ambito religioso. Tuttavia non si offendeva se una sua opera veniva rifiutata: o la correggeva o ne faceva un’altra. Insomma, si adattava. Si adattava sì, ma i suoi quadri presentano sempre un nascosto messaggio ideologico. Per esempio: nel suo celebre dipinto La vocazione di San Matteo, nel volto di Matteo è riconoscibile quella di Enrico IV (il re francese salito al trono dopo essersi convertito al cattolicesimo, in seguito alla strage degli ugonotti). E gli uomini che gli stanno accanto hanno abiti francesi.

Attaccabrighe

Sia come sia, intorno al 1606 a Roma, la sua fama di pittore è indiscutibile: le sue opere sono ben pagate da collezionisti e comunità ecclesiastiche. Ha però anche fama di attaccabrighe. In effetti, se si guardano alcuni eventi tra il 1600 e il 1606, qualcosa emerge: ha bastonato e aggredito con la spada Girolamo Stampa; è accusato di aver gettato un piatto di carciofi in faccia a un garzone; è incarcerato due volte per aver insultato degli sbirri; di nuovo arrestato per porto d’armi abusivo; denunciato da un notaio per aggressione; querelato da una donna per aver preso a sassate la sua finestra. Infine, il fatto più noto: il 28 maggio 1606 uccide un uomo.

L’assassinio di Ranuccio

Ecco com’è andata. Stava disputando una partita a pallacorda (uno sport simile al tennis, in cui si giocava anche a squadre, diffusissimo a quell’epoca). Non era però una semplice partita. Le due squadre rappresentavano due precise fazioni ideologiche: da una parte chi sosteneva l’elezione di un papa francese (tra cui Caravaggio), dall’altra quelli per un papa spagnolo. La questione aveva già provocato, in quei giorni, diverse risse in città.
L’avversario diretto di Caravaggio era Ranuccio Tommassoni da Terni (tra l’altro fratello di un capobranco della fazione spagnola). Entrambi sguainano le spade. Ranuccio colpisce Caravaggio alla testa, facendolo sanguinare; Caravaggio ferisce Ranuccio a una gamba, ma gli taglia l’arteria femorale e Ranuccio muore. Nella rissa che ne segue, muore anche un compagno di Caravaggio: Antonio da Bologna. Caravaggio, con la testa sanguinante, viene trasportato da alcuni amici fuori da Roma.
In questi giorni viene protetto e tenuto nascosto dalla famiglia Colonna (filofrancese). Viene processato in contumacia e condannato a morte. Rimane nascosto per circa un anno.

In fuga

Nel 1607 fugge a Napoli, dove viene però arrestato. Dalla prigione riesce poi a liberarsi. Secondo una versione fuggendo; secondo un’altra versione si tratta di una fuga inscenata con il consenso degli sbirri (corrotti regalandogli opere che dipinge appositamente). Poi, sempre con l’aiuto dei Colonna, si imbarca: direzione Malta, dove rimane per circa un anno. Quindi si sposta a Siracusa, dopo a Messina, da Messina Palermo. Nel 1609 ritorna a Napoli, ma qui viene circondato e massacrato di botte da un branco di criminali. Gliene danno tante da ridurlo in fin di vita. Non si tratta di un caso: è una vendetta. L’anno prima, infatti, a Siracusa, Caravaggio aveva menato un uomo, un maestro, il quale lo aveva accusato di pedofilia, mentre cercava di convincere alcuni ragazzetti a posare per lui. Sembra che il destino lo stia stringendo alle corde.

Fine corsa

Dato per morto, riesce però a riprendersi. È malridotto e si regge a malapena in piedi. Riesce a dipingere un altro quadro: Davide con la testa di Golia. Nella faccia di Golia, piena di dolore e angoscia, Caravaggio rappresenta la propria condizione. Lo dice chiaramente egli stesso in una lettera che invia al papa Paolo V, a cui invia il dipinto come dono, con lettera allegata e richiesta di grazia.
Quindi si imbarca per Roma. L’obiettivo è andare dal papa per ottenere il tanto sperato perdono.
E in effetti, il perdono gli viene concesso, ma non avrà il tempo di averne conferma, dato che, durante il viaggio, si accascia e viene scaricato a Porto Ercole. Qui muore, senza aver superato la soglia dei 40.

Per approfondire: Dario Fo Caravaggio al tempo di Caravaggio

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