1980: la strage di Bologna

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Erano le 10:25 del 2 agosto 1980 quando scoppiò quella bomba alla stazione di Bologna; precisamente nell’ala sinistra, dove è situata la sala attesa di prima e seconda classe. Vi furono 85 morti e oltre 200 feriti. Quasi la metà di quelli morti non aveva ancora compiuto venticinque anni; 4 erano bambini di tre, sei, sette, otto anni.ù

Fatali combinazioni

Alcuni corpi erano in condizioni tali da non essere mai state ricomposti.
Ognuno di loro aveva una storia propria quel giorno; probabilmente, molti tra quei defunti stavano andando o tornando dalle vacanze.
Una, in particolare colpisce (ma solo per dare un esempio), quello della famiglia Mauri (padre e madre, nemmeno trentenni, e il figlio di sei anni). Erano partiti in auto da Como per andare in Puglia. In zona Bologna fecero un incidente, si salvarono, lasciarono l’auto danneggiata da un meccanico in zona Casalecchio sul Reno. Decisero di continuare in treno. Morirono tutti in stazione.

Il tipo di esplosivo

La bomba provocò il crollo di tutta l’aria Ovest, facendo a pezzi 30 metri di pensilina del primo binario e investendo anche l’aria taxi.
La miscela dell’esplosivo era composta da 23 kg di esplosivo (di cui 5 di tritolo e 18 di nitroglicerina). Era un ordigno di tipo militare e proveniva da reliquati della Seconda Guerra Mondiale. Molti esplosivi erano di possibile provenienza dai fondali del lago di Garda, dove erano rimasti inesplosi.
Il tutto poteva stare in una valigetta di tipo ventiquattrore, per cui facilmente trasportabile da una sola persona. Dalla perizia di esperti risulta che quel tipo di bomba poteva essere attivato solo tramite un detonatore con sistema a innesco regolato da un timer. È quindi assolutamente da escludere la ipotetica causalità dell’esplosione. Si trattava di uno studiato, organizzato, voluto attacco terroristico.

Le motivazioni della strage

La prima domanda che viene da porsi è semplicemente “perché”? E non è un “perché” retorico (come dire “perché tanta malvagità?”) ma “per quale motivo”? Qual è lo scopo di ammazzare dei puri innocenti?
La risposta, per quanto logica fino a un certo punto, va situata nella cosiddetta strategia della tensione degli anni Settanta/Ottanta italiani. L’obiettivo era provocare terrore. Da una parte il terrorismo di sinistra, che si basava su una sorta di minaccia, di vendetta indirizzata ad alcuni uomini, che era un assassinio mirato. Dall’altra il terrorismo di destra, che mirava a provocare l’urgenza di un interventi forti, di limitazione della libertà.

Anni neri

Ma dietro questa strage, come vedremo, non c’è solo l’iniziativa di alcuni. Dietro c’è qualcosa di ben più complesso, che possiamo solo ipotizzare, ma che rimane occulto.
Se si vanno a leggere i documenti e le testimonianze di alcuni protagonisti di quel periodo, si rimane allibiti dalla facilità con cui uccidevano. Uccidevano come bere un bicchiere d’acqua. Parliamo fondamentalmente di criminali le cui azioni erano tinte di ideologie, ma se gratti dietro le ideologie i colori si stingono in un unico amalgama che si radica in una violenza cieca.

Il processo

Il processo relativo alla strage di Bologna iniziò il 19/1/1987. Dei 6 imputati maggiorenni, 4 vennero assolti per insufficienza di prove. Vennero condannati Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, oltre a Luigi Ciavardini (che aveva 17 anni ai tempi della strage, quindi ancora minorenne). Nel processo di appello nel 18/7/1990 vi fu una sorprendente assoluzione totale, annullata nel febbraio del 1992 dalla Corte di Cassazione.

Possibili depistaggi

Il groviglio legale del lungo processo va considerato, da un lato, nel non semplice accertamento delle prove e nelle complicate indagini che ne seguirono. I tre accusati avevano compiuto, pochi giorni dopo la strage, una rapina a un’armeria a Roma. Lo scopo di tale rapina è piuttosto strano: essi facevano parte del gruppo NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), movimento di estrema destra. Dato che le ipotesi di accusa convogliavano appunto sui NAR, essi tentarono, secondo le accuse, di depistare le indagini, facendo credere che i NAR compissero altri tipi di azioni. Si trattava della creazione di una sorta di alibi.

Sentenze e dubbi

La sentenza definitiva su Fioravanti (il quale ha ammesso altri omicidi, ma mai la strage di Bologna), Mambro e Ciavardini, include un’accusa di calunnia per aver svolto attività di depistaggio al fine di nuocere alle indagini. Di tale depistaggio furono accusati Licio Gelli, il generale Pietro Musumeci, il colonnello Giuseppe Belmonte (tutti uomini iscritti alla P2) e Francesco Pazienza. L’accusa è di aver contribuito a deviare i sospetti, relativi alla strage, verso una ipotetica “pista libanese”. Si trattava insomma di spostare gli indizi sulle responsabilità della strage in campo internazionale. Appare fuori da ogni ragionevole dubbio che il depistaggio sia stato manovrato da persone coinvolte con la P2. Sono quindi noti gli autori materiali (almeno secondo l’accusa); rimangono ignoti i mandanti. E soprattutto rimane oscuro e irrisolto il motivo per cui uomini della P2 (che non avevano, per quanto sappiamo, rapporti diretti con gli autori) si siano impegnati in questi depistaggi.

Un ennesimo caso misterioso

La strage di Bologna è, in sostanza, ancora una faccenda non chiarita. Tanto che un’altra ipotesi era sorta (nel 2001), ovvero la cosiddetta “pista Kram” (Thomas Kram era appartenente a una cellula tedesca di estrema sinistra). In questo caso, gli indizi andrebbero spostati sul Fronte di liberazione della Palestina, come ritorsione verso lo Stato italiano. L’ipotesi che Kram potesse essere l’esecutore nasce dal fatto che, il 2 agosto 1980, egli si trovava a Bologna. Le indagini sul suo conto si sono prolungate per oltre 13 anni, giungendo alla sentenza del 25 luglio 2013 che assolve in pieno il sospettato.

Per approfondire: Paolo Morando La strage di Bologna, Giuliano Turone Italia Occulta

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