Vacanze d’infierno: XVIII puntata – Burocrazia

(La burocrazia è un labirinto in cui è facile entrare ma difficile uscirne sani.)

Attenzione che, come poi ho scoperto, se vi trovate all’estero e perdete o vi rubano i documenti in un giorno festivo, ovvero quando il Consolato è chiuso, siete fregati. Dovete attendere che riapra. Se, per esempio, vi rubano i documenti di sabato e avete l’aereo il giorno dopo, ciao ciao aereo. In Comune mi hanno appunto poi spiegato di frequenti casi del genere.

Attesa

La prova che non dico balle sta nel fatto che, quel giorno, in consolato, c’erano altri due che avevano il nostro identico problema, però quei due erano maggiorenni, quindi se la sono cavata in un’oretta. Per le mie figlie, minorenni, la faccenda si complicava: ci volevano le firme di entrambi i genitori. Ne mancava una e si erano già fatte le tre. Avevo ancora due ore di buono. A ritmi di circa mezz’ora, l’impiegata si riaffacciava dal labirinto di vetri e mi chiedeva se c’erano novità. La cosa irritante era che me lo chiedeva come se fosse una mia mancanza, come se dovessi fare qualcosa, ma oltre che tentare con insistenza di rintracciare la madre, potevo fare ben poco; essendo privo, tra l’altro, di facoltà telepatiche.

Tentativo nr. 1

Non potevo nemmeno distrarmi con il cellulare, perché temevo di scaricare la batteria. Dafne si era addormentata su una mia coscia; Sofia si sparava intanto video a nastro. Ogni tanto anche io chiedevo se c’erano novità e niente. La lancetta virava già verso le quattro. L’impiegata si è rifatta viva. Ho fatto segno di no con la testa, poi le sono andato incontro e le ho chiesto se c’era un modo per arrangiare la cosa, anche senza la firma. Ho cercato di dirlo con una cadenza che significava “a umma umma”, facendo insomma intendere se c’era una qualche forma di scappatoia, una deviazione insomma, anche non del tutto, diciamo così, regolare, come dire, cerchi di capire… insomma… Mi sentivo come Lino Banfi in Vieni avanti cretino, quando deve superare l’esame di ornitologia. Ma lei era appunto come quella: irremovibile!

Tentativo nr. 2

Alle 16: 30 circa ho tentato con la supplica. Sempre alla Lino Banfi, ho fatto un’espressione querula: “Signora, abbia pietà… sono un padre dispereto. Devo tornare in Italia con queste due bambine. La prego… chiuda un occhio! Porca puttena maledetta! Ma lo vede come son ridotto?!”
Lei… sguardo impassibile, muoveva il capo a destra e sinistra. E ripeteva: “È la legge!” Ho avuto, debbo ammetterlo, due, forse tre secondi, in cui volevo mettermi a urlare e prendere a pugni quei vetri. Ma ho inspirato ed espirato più volte, con saggezza yoga, e sono tornato a sedermi afflitto. Le mie figlie mi guardavano a dire: “Come facciamo?” Le ho rassicurate: “Ce la faremo!” Ma non ne ero convinto.

Vie alternative

Il tempo scorreva privo di novità. Scorreva con una rapidità esasperante. Verso le 16:45 l’impiegata è venuta a ricordarmi che, entro pochi minuti, il Consolato avrebbe chiuso. Mentre aspettavo, cercavo intanto vie alternative. Avevo preso in considerazione l’eventualità di tornare in treno o in nave, forse in quel modo sarebbe bastata la denuncia, forse avrebbero chiuso un occhio. Ma si trattava appunto di un risicato calcolo elaborato sui “forse”. E tutto ci avrebbe condotto verso ulteriori complicazioni, spese, stanchezze, avventure. Iniziavo a odiare quella città e l’idea stessa di vacanza. Ma, a quel punto, mi è arrivata una carta inaspettata.

Sorpresa

L’impiegata, che si era dimostrata per tutto quel tempo rigida al limite dell’odioso, si è di colpo rivelata una persona amorevole: mi ha proposto una scappatoia, una sorta di dilazione di tempo.
Ha detto: “Facciamo così. Io le lascio il mio numero personale. Se entro stasera riesce ad avere la firma e la madre riesce a inviarmi copia dei documenti firmati, via mail, domattina ci vediamo e io le consegno il documento sostitutivo per le sue figlie. È la sola cosa che posso fare per venirle incontro. E capisce bene che le sto facendo un grosso favore.”
Tutto questo è avvenuto quando stavano ormai per scattare le 17:00.
Ho salvato il suo numero in rubrica, le ho dato il mio e l’ho ringraziata più volte a mani giunte.

Meglio tardi… che mai!

Poi siamo usciti. Avevamo aspettato quasi 5 ore inutilmente. Una volta in strada, mi sentivo molto confuso e ancora atterrito, ma rimaneva quella possibilità ancora aperta. Ho proposto alle mie figlie un gelato e per me una birra. E poi ho promesso loro che le avrei portate in una catena di abbigliamento teen, dove avrebbero potuto scegliere una t-shirt o una gonna o un vestito a loro scelta. La faccenda pareva consolarle. Dovevo fare qualcosa per limare la tensione. A me sarebbe bastata una birra.
E mentre, seduto a un tavolino, a poche centinaia di metri dalla Rambla, mi dissetavo, è arrivata la telefonata della madre. Erano circa le 17:10.

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