Perché la guerra?

Nel 1931 l’ ”Istituto internazionale di cooperazione intellettuale”, dietro mandato della Società delle Nazioni (che si può definire l’attuale O.N.U.), invitò i più noti intellettuali a farsi promotori di uno scambio di lettere che avessero come oggetto argomenti di interesse culturale-sociale.
Tra i primi interpellati vi fu Albert Einstein, il quale scelse come interlocutore Sigmund Freud.

Freud e Einstein

I due si erano conosciuti di persona qualche anno prima. Nel 1931, Freud aveva 75 anni e aveva già pubblicato tutti i libri per cui oggi è noto. Einstein ne aveva 52 ed era già notissimo. Di lui, Freud aveva detto (tradendo un’ironia che non ci si aspetterebbe): “Capisce di psicologia quanto io di fisica, quindi la nostra conversazione fu molto piacevole.”
Il titolo del loro scambio epistolare è Warum Krieg? (Perché la guerra?)

La prima domanda di Einstein

La lettera che Einstein invia a Freud ha per oggetto una apparente banale domanda: “c’è modo di liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”
La domanda si poneva e si pone sempre più urgente, considerata la progressione (fortunata e letale) della scienza. Il motivo dell’urgenza è ovvio.
Einstein si dice impotente di fronte agli “oscuri recessi della volontà e del sentimento umano”. Ha però in mente una soluzione: che tutti gli Stati “creino un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti che sorgano tra loro.” Ogni Stato dovrebbe sottomettersi agli obblighi di tale autorità suprema. Egli propone una sorta di Grande Padre con mandato decisionale.

Un organo di controllo

Einstein non è certo così ingenuo da pensare che la creazione di una tale organizzazione sia semplice: può esistere un organo che si arbitrariamente superiore a tutti e di cui tutti gli Stati possono fidarsi? Eppure, la sola soluzione è questa, e ogni Stato dovrebbe essere disposto a rinunciare, entro certe limiti, alla propria libertà di azione. Ci dovrebbe essere insomma una sorta di Consiglio super partes a cui, in extremis, demandare le decisioni in caso di conflitto. Oggi sappiamo bene che qualcosa di simile c’è ma non c’è, perché, questo ipotetico organo è accusato di fare gli interessi di alcune Nazioni.

Pochi dominano tanti

La seconda domanda che pone Einstein è una conseguenza del ragionamento precedente: come è possibile che il popolo (i tanti) riesca ad essere convinto da quelli al potere (i pochi) che la guerra sia a volte necessaria, quando sono soprattutto “i tanti” a doverne pagare il prezzo?
La risposta esiste: i pochi manovrano i mezzi di comunicazione (scuola, stampa, organizzazioni religiose).
Ma… possibile che “i tanti” si lascino tele-guidare da “i pochi” a portare sé stessi alla distruzione? Questa è la terza domanda. Ecco la quarta: c’è modo di dirigere la psiche umana in modo da resistere “alla psicosi dell’odio e della distruzione”?

La violenza e il diritto

Le domande sono quattro, ma hanno un’unica direttiva, e direi sia la seguente: può l’uomo emendarsi dal bisogno di distruzione?
Le domande di Einstein sono relegate a poche pagine. Freud rispose invece in modo più articolato e complesso, sebbene, va detto, non fosse convinto dell’iniziativa e la giudicasse alquanto sterile. Provava però una evidente simpatia per Einstein e, diciamo così, accettò la sfida. E accettò la sfida in modo molto serio, attento e con grandissima cortesia.
Einstein ha già indirizzato il percorso, e lui non farà altro che seguirlo mettendoci del proprio.
La base da cui partire è il contrasto tra due elementi: da una parte la violenza, dall’altra il diritto. Due elementi che sono in sé legati, dato che il diritto è nato per arginare la violenza. La violenza è la soluzione naturale dei conflitti tra gli uomini. Il più forte vince sul più debole. La forza umana, se inizialmente era superiorità fisica pura, si è fatta poi forza con le armi, con il possedimento e l’affinamento delle armi.

La guerra porta alla pace?

La sola arma che i più deboli hanno è il diritto. Il diritto infatti rappresenta la difesa dei più deboli che, solo nell’unione delle loro forze, possono stabilire una forza che si opponga alla violenza del più forte. Una legge, insomma, che restringa i soprusi del più aggresivo. Il diritto però è come un fuoco che va mantenuto acceso nel tempo, e va protetto, e va sancito, affinché diventi stabile anima della comunità.
Ciò è però realizzabile solo in semplici contesti, anzi, solo in teoria. Infatti accade cosa? Accade che lo stesso diritto divenga gestito dai più forti, che non fanno altro che manovrarlo a proprio favore. Freud è chiaramente consapevole di questo, ma è altrettanto consapevole del fatto che, in questa sorta di dialettica tra “violenza” e “diritto”, sta l’anima del diritto, perché, nel contrasto appunto, il diritto si migliora. Certo, questi passaggi verso il miglioramento non sono mai pacifici e non sempre hanno portato a miglioramenti: ci sono state guerre che hanno portato esclusivamente distruzione.
Freud quindi fa notare che, paradossalmente, a volte la guerra è la via per la pace.

Eros e thanatos

Poi Freud passa a un’analisi più vicina al proprio campo di studi.
Provo qui a sintetizzarlo: due forze operano nell’uomo, una conservativa (eros) l’altra distruttiva (thanatos); entrambe parimenti indispensabili, “perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto”. Eppure, queste due pulsioni, per quanto contrastanti, non si possono esattamente scindere. Se si osservano le opere degli uomini, è difficile distinguere quale delle due pulsioni le domini. L’impulso distruttivo è spesso legato all’impulso erotico. Le peggiori atrocità sono spesso ammantate di nobili ideali.
La tensione sana della psiche è quando la pulsione distruttiva volge all’esterno. Diventa invece patologica quando si rivolge all’interno, ovvero verso sé stessi. E si potrebbe azzardare a dire che la morale, come tentativo di frenare i nostri impulsi, sia patologica per la nostra psiche.
Freud ritiene illusorio ogni tentativo di frenare gli impulsi distruttivi dell’uomo.

Volontà costruttiva contro volontà distruttiva

Ma la conclusione cui giunge Freud non è totalmente pessimistica. La tensione alla distruzione è innata nell’uomo; questo sì. Ma ad essa si può opporre una volontà costruttiva. A maggior ragione, considerando lo sviluppo a cui è giunto la scienza. Già nel 1931 Freud e Einstein ne erano consapevoli: i mezzi a disposizione dell’uomo sono giunti a un tale livello di potenza che la distruzione toccherebbe sia vincitori sia vinti, e non ci sarebbero esattamente né vincitori né vinti. La via, non di uscita, ma di arginamento è promuovere l’evoluzione civile, spingere verso il pacifismo, far sì che la ragione domini la pulsione.
Tutto ciò, per quanto utopistico, rimane la sola strada.
Così chiude Freud: “La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie osservazioni L’hanno delusa. Suo. Sig. Freud.”

Per approfondire: Sigmnd Freud Il disagio della civiltà e altri saggi

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