Prostituzione nell’antica Roma

Nell’antica Roma la prostituzione era, non solo comunemente accettata, ma per certi aspetti fondativa della stessa capitale: la leggendaria “lupa” che allevò Romolo e Remo potrebbe essere infatti una prostituta. Il noto mito si potrebbe tradurre realisticamente così: due neonati gemelli vengono abbandonati e adottati e cresciuti da una brava donna di strada. “Lupa” è infatti un sinonimo di prostituta (da cui “lupanare” per casa di appuntamenti).

Il mestiere più antico…

La loro funzione sociale era considerata così importante da renderle possibili partecipi alle funzioni religiose pubbliche e, in loro onore, si celebrava una festa: il 23 aprile.
Le si poteva trovare in certe strade (e poi nelle loro case) oppure in luoghi appositi, annessi a taverne, negozi.
Le si poteva riconoscere per l’abbigliamento. Vestivano infatti la toga maschile, che lasciava scoperte le ginocchia. Inoltre portavano i capelli tinti di rosso o con una parrucca rossa: Rufa, Rufilla, Rufilia, tipici nomi, tutti a indicare la “rossa”. Alcune di loro erano specializzate in qualche specifico settore sessuale. D’altra parte, il mercato cerca sempre di settorizzarsi per un determinato gusto dei consumatori. Si chiama “marketing”.

Le fonti archeologiche

Gli studi archeologici su Pompei sono una ricchissima fonte di notizie sulla ipotetica quotidianità di quel periodo. Dai graffiti sui muri sappiamo, per esempio, che c’era una dolce prostituta di nome Mirtale, bravissima con la bocca; un’altra, chiamata Panta, ovvero “tutto”, si vantava esperta in varie specialità e si pubblicizzava disposta alle più originali fantasie, Callidrome si sponsorizzava come ottima cavalcatrice.

I prezzi

I prezzi variavano: il più basso poteva essere intorno ai 2 assi (mezzo sesterzio circa… cioè il prezzo di un bicchiere di vino) fino ad arrivare a 16 assi, ovvero più della paga giornaliera di un soldato (che era circa di 2,5 sesterzi).
E i prezzi diventavano veramente esosi nel caso di prostituzione maschile, che era più rara ma molto più cara. Questi erano di solito dei ragazzi, e parliamo di ragazzi molto giovani. Si consideri che la comparsa dei peli nelle gambe era già considerato segno di scarsa attrattiva. Ma fino a quando erano desiderabili e desiderati, potevano rappresentare dei veri e propri salassi per alcuni. Infatti, non solo chiedevano soldi, ma anche regali costosi e, a volte, veri e propri capricci che portarono ricchi uomini a dilapidare i loro averi.

Prostituti

L’attrattiva per i bei maschietti era totalmente diffusa, tanto che uno dei pochi poeti che preferiva le donne, Ovidio, quasi se ne vergognava. A differenza, Marziale ne andava notoriamente pazzo. Giusto per intenderci, in una sua poesia racconta della moglie che lo trova a spassarsela con un ragazzo. La moglie si lamenta e dice che anche lei possiede un sedere, ma Marziale scrive:

Di grazia, non dar nomi maschili
a quel che hai sotto.
Culo non vedo in te, ma doppia fica.


Ecco l’epigramma (IX, 43) al completo:


Deprensum in puero tetricis me vocibus, uxor,
corripis et culum te quoque habere refers.
Dixit idem quotiens lascivo Iuno Tonanti!
Ille tamen grandi cum Ganimede iacet.
Incurvabat Hylan posito Tirynthius arcu:
tu Megaram credis non habuisse natis?
Torquebat Phoebum Daphne fugitiva: sed illas
Oedalius flammas iussit abire puer.
Briseis multum quamvis aversa iaceret,
Aeacidae propior levis amicus erat.
Parce tuis igitur dare mascula nomina rebus,
teque puta cunnos, uxor, habere duos

Ecco la traduzione (fatta da un amico):

Sorpreso con un fanciullo, con terribili parole, moglie,
Mi hai ingiuriato, che anche tu un culo lo avevi, dicendo.
Disse lo stesso tutte le volte Giunone al lascivo Tonanate!
Lui tuttavia con il grande Ganimede continua a fottere.
Incurvava Hylan, dopo aver deposto l’arco, il Tirinzio:
Tu credi che Megara non avesse le natiche?
Bruciava e tormentava Febo Dafne che fuggiva: ma quelle
Fiamme il giovane Edalio estinse.
Sebbene molto spesso Briseide si concedesse di schiena,
All’Eacide piaceva di più il suo tenero amante.
Smettila dunque di dare nomi maschili alle cose tue
E considera di averne due, moglie, di fiche.

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