Vacanze d’infierno: VIII puntata – Pensieri

(Fondamentalmente, sono i nostri pensieri a fotterci.)

Stare in una barca perennemente attraccata, una barca a vela senza vela, che galleggia in mare senza navigare è frustrante. È come salire in aereo, sedersi, legare la cintura, ascoltare la hostess che spiega tutti i procedimenti di sicurezza e non decollare mai: è assurdo!

Preparativi per la notte

Quella domenica siamo poi rientrati a Badalona in un treno semi-deserto. Abbiamo fatto tutto il percorso a ritroso, fino alla barca e ci siamo preparati a dormire. L’organizzazione per il bagno era un po’ complessa: portare il necessario, ricordandoci la chiave magnetica, aprire e chiudere il portoncino e il tambucio, più il portoncino e le varie serrature del bagno comune… e il tutto in sincronia, dato che la chiave magnetica era una.
Ma si è fatto. Una volta pronti per la notte, dovevamo chiuderci in sottocoperta, incastrando nelle scanalature il tambucio. All’interno, una volta chiuso tutto, si provava un certa sensazione claustrofobica.

Chiamiamoli letti…

La ragazze si sono incuneate nel fondo della sottocoperta (il modo per entrarci era “a tuffo”, attraverso un buco attraversabile una per volta). Lì stagnava ancora una temperatura elevata e così abbiamo piazzato il ventilatore in quella direzione. Si sono addormentate in pochi minuti… loro… Io mi sono steso sul mio letto, ma mi andava corto. Dovevo quindi tenere le ginocchia leggermente piegate. E in larghezza mi andava stretto. Uno spostamento notturno mi avrebbe fatto facilmente cadere. Definirlo letto è quindi una farsa. Si trattava più che altro di una specie di cassapanca, con un materasso sottilissimo e un cuscino. La mia schiena si ricorda perfettamente la sua consistenza.

Paranoie

Per prepararmi a dormire mi sono steso supino. Avevo mezza spalla nel vuoto e sudavo, sudavo tanto. Già, di mio, ci metto sempre un bel po’ ad addormentarmi. Così ho iniziato a pensare se ci sarei riuscito e il pensarci mi caricava di tensione ed era come un cane che si morde la coda. Non devo pensare a un cane che si morde la coda, devo pensare a file di pecore, pensavo. Se chiudevo gli occhi era peggio. Fissando il soffitto mi pareva che quasi quasi il sonno arrivasse, ma arrivavano solo pensieri. Di colpo fui assalito dal pensiero della corrente elettrica: c’erano tre cellulari in carica,un power-bank e un ventilatore. I corto circuiti esistono… c’è gente che crepa così… quella barca avrebbe preso fuoco in pochi minuti. Le mie figlie erano incastrate lì dentro…. Avremmo fatto una fine orribile.

Altre paranoie

Mi sono alzato e ho staccato tutto, poi mi sono steso di nuovo. Ora era meglio. Sì… era meglio. Ho pensato: “Leggo!” Nel book-reader avevo il file San Paolo di Ernest Renan. Ho letto una decina di pagine. Tutti i patimenti dei primi cristiani mi consolavano. Ma mi è venuto in mente il tambucio: bastava un colpo, un piccolo colpo di piede per buttarlo giù, o bastava semplicemente toglierlo. Eravamo alla mercé di qualsiasi criminale. Le mie figlie erano in pericolo. Mi sono guardato attorno: tra le posate c’erano un paio di forbici, lunghe e appuntite. Le ho prese e lo posizionate sul gradino. Il mattino dopo Sofia mi ha chiesto che ci facevano un paio di forbici sulla gradino. “Ah niente…” ho mentito “Ho tagliato una cosa e le ho scordate lì.” Lei mi ha scrutato perplessa.

Prima notte

Ero a questo punto armato e con una discreta sicurezza per l’impianto elettrico. Ho pensato anche che la barca sarebbe potuta affondare, ma mi pareva davvero molto difficile. E comunque sapevamo nuotare. Allora ho messo via il book-reader e mi sono detto: “Ok… non dormi. Puoi anche non dormire. Dormirai domani in spiaggia.”
A volte il nostro cervello fa l’esatto opposto di ciò che gli ordiniamo. Ti dici: “Stai calmo!” e ti agiti di più. “Devi dormire!” e non dormi. Fissavo il soffitto… sudavo… poi tutto si è fatto più buio e sono scivolato nel sonno.

Toilette

Ma in piena notte… pipì! Ho impiegato diversi minuti per ricordarmi e organizzare cosa dovevo fare: dovevo prendere le chiavi, aprire il tambucio, camminare una cinquantina di metri, farla, tornare, chiudere tutto.
Quando ho aperto il tambucio, la metà superiore è crollata sui gradini facendo un casino tremendo. Ho imprecato. Ho controllato le mie figlie. Dormivano. Ho imprecato di nuovo e sono andato in bagno. Al ritorno, stordito dal sonno, mi ci sono voluti 10 minuti a sistemare quel cazzo di tambucio.
La notte successiva ho pisciato direttamente in mare. Non sono certo io il responsabile dell’inquinamento marino… E, comunque, farla in faccia alla luna, è particolarmente piacevole; oserei dire romantico.

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